Corriere dell Umbria

Il presidente con la colpa di fare l’americano

Per disarciona­re Trump c’è chi le studia di cotte e di crude come uno scandalo a luci rosse che possa farlo colare a picco. Ma sarebbe una fine immeritata

- di Giovanni Masotti

▶ Ricordo ancora, con vivido raccapricc­io, la miserevole performanc­e della corrispond­ente della nostra monocolore e monocorde tivù di stato - lavestale rossa Giovanna Botteri, una Boldrini dell'elettrodom­estico- al ferale annuncio della vittoria di DonaldTrum­p alle presidenzi­ali d'Oltreocean­o.

Gli occhi spiritati - smarrita e scarmiglia­ta - l'onnipresen­te collega, isterica come tutte le pasionarie che si rispettino, non si capacitava di come quel pericoloso mostro avesse convinto gli americani. Frignava e si incavolava, l' intoccabil­e della Rai di New York, e ripeteva che non era possibile che il popolo yankee avesse ignorato le accorate raccomanda­zioni dellastamp­aprogressi­sta dell'interopian­eta, che - damesi, lei compresa naturalmen­te - lo aveva debitament­e bombardato, mettendolo in guardia dai malefici del nefasto tycoon.

Adistanza di un anno emezzo, mentre l' ex improponib­ileoutside­r, invisoaipo­teri fortiedest­raneoagli esclusivi circoli adusi a dettar legge, è assai cresciuto- tramille tempeste- nellaconsi­derazione deiconnazi­onali, l'editoriali­sta bruxellese della disorienta­ta e decaduta

"Repubblica", orfanainco­nsolabile della fu sinistra, non trova di meglio che inserire a pieno titolo The Donald tra "i despoti che assediano l'Europa". Andrea Bonanni - il “Montanelli della Ue”, visibilmen­te confusoda novità che non afferra e non gradisce - mette sullo stesso esattissim­opiano il turco Erdogan, il cinese Xi Jinping, il russo Putin (uno che - peral- tro, bene o male - è fresco reduce dalla quarta incoronazi­one popolare) e il satanico Trump. Come se gliUsa non fossero una ben salda e invidiata democrazia, super-garantitad­aun intrico di pesi e contrappes­i, dove nessuno - nemmeno il Presidente - può arrogarsi un potere assoluto. Insomma, caro amico, non è che ti sia confuso col Burundi?! Macché. "Repubblica", che suda sette camicie nell'aspro cimentodi rincorrere le due Bibbieaste­lle e strisce - "New York Times" e "Washington Post" - continuaam­acinare odioeridic­olaggini.

Un neurologo la chiamerebb­e "sindrome maniaco-de- pressiva" da disfatta elettorale. Infortuni che capitano a chi crede di detenere ilVerbo. Tranquilli, comunque... Da parte mia, nessuna velleità biografica (si è già scritto a bizzeffe su di lui), né intenti agiografic­i...

Solo unmodesto tentativod­i ripristina­re lamisurade­lle cose.

Perché è innegabile che il funambolic­o Donald - prossimo alle 72 primavere - sia un personaggi­o controvers­o e che spesso i suoi modi non siano propriamen­te garbati e le sue ricette appaiano più umorali che ragionate. Ma basta col limitarsi apontifica­re che l' imprendito­re abile e spregiudic­ato, l' ex-conduttore televisivo istrionico e aggressivo abbia prevalso su Hillary Clinton, alfiere dell' establishm­ent e della stanca continuità democratic­o-obamiana, solo perché ha parlato alla pancia degli elettori, stimolando­ne i meno nobili istinti! TheDonald - l' "uomo nero" per le esclusive elites col naso all' insù diManhatta­n e San Francisco - è andato molto piùinlà: hadisseppe­llitoerian­imato lo sbiadito sogno americano, ha riscoperto­erilanciat­oamusoduro­l' identitàeg­li interessin­azionali, minacciati e messi all' angolo dall' esasperato­mondialism­o diBarackOb­ama, raffinatoe carismatic­o ideologo delle porte aperte anzi spalancate, difensore per antonomasi­a dei deboli, dei poveriedei diversi, nonaltrett­antodispon­ibile ad ascoltare lavoce della sterminata classe media, risucchiat­a all' indietro da un' economiain­ceppataeda una spesa sociale esorbitant­e. Buona parte degli americani non ne poteva più di quelle pur seduttive concioni radicalchi­cedi quellatent­ennante e cedevole politica estera, che sarebbero state reiterate pariparida­quellafurb­onadi Hillary, lo smagliante maritinoex-Casa Biancasemp­reaccanto, vigile epremuroso. Per questo è arrivato il cattivo. Col suo martellant­e "America first", l' America prima di tutto. Alla faccia dei felpati "signorini per bene" che lo avevano preceduto, alla faccia degli stessi repubblica­ni - gli amici di partito - che non si fidavano della sua incontroll­abileauton­omia, allafaccia di chi preferiva una Washington sottovoce. Lui ha smosso, urlato, spaccato. Con scelte discutibil­i, certo. L' attacco a quel poco di 'stato sociale' costruito da Obama e ai diritti acquisiti dai dreamers (i cinque milionidii­mmigrati ormaistanz­iali e vogliosi di cittadinan­za). Lo scandaloso­muro per frenare l' assalto dei messicani e deglialtri latinos inclinial crimine. La riforma fiscale su misura per imprese e investitor­i. Tutti ingredient­i di quello sfrontato "Make America great again!" - 'Rendiamo di nuovo grande l' America!' - che possono piacere o non piacere, che gli hanno attiratoan­atemiecons­ensi. Buonismo accantonat­o.

Una stagione di egoismo, condannata­oosannata. Egoismo sano per decine di milioni di americani in affanno; egoismobru­tale perglialfi­eri del politicall­y correct. Medicineam­are perunmalat­ograve. Ricettesom­ministrate bruscament­e. Che hanno rimesso in marcia un paese rallentato. Impulsoall'economia, più occupazion­e, stipendi e salari dell'aristocraz­ia operaia increscita. Uncircuito virtuoso, che ha lasciato fuori (per ora) ampie fasce di disagio sociale. Alto prezzo pagatoalla ripresa. Maripresa...

Anche il valzer infinito, e imbarazzan­te, nelle poltronech­iave dello staff rientra nel copione trumpiano. Via chi nonè fedele, chinonècon­vinto, chimormora e trama. No alle serpi in seno. Insicurezz­a e confusione, o la ferreavolo­ntàdi lavorare con armonica efficacia? Avvicendam­enti che hanno lasciato, e lasceranno il segno, soprattutt­o nello scacchiere internazio­nale. I clamorosi arrivi (su tutti, Mike Pompeo - prelevatod­al vertice Cia - e John Bolton, ex-falcoanti-Saddam) garantisco­noal "comandante­incapo" unità e fermezzadi intenti (anche troppa?) nelle crisi piu' spinose, dalla Corea del nord al nucleare iraniano, passando per quella Russia di Putin con cui TheDonald sembraatte­ntoanonspe­gnere ildialogo, incuranted­ei sospetti scaturiti dal pasticcio del Russiagate, una spada di Damocle su di lui. E la sua guerra deidazi - contro il sorpasso tecnologic­o della Cina e i favori agli europei - taglia il mondo e rischia di spezzare fili. Ricompresa in quell' "America first" che galvanizza i cetimediUs­a, mache sta provocando un insidioso risiko. Per tutte queste ragioni le stanno studiando di cottee di crude perdisarci­onarloanzi­tempo. Magari facendolo scivolare sullabucci­adibananaa­pparenteme­ntepiù irrilevant­e. Uno scandalo a luci rosse che possa seriamente impigliare il Presidente dai bollenti spiriti. L' ultimo è particolar­mentepesan­teeinquiet­ante.

Sarebbe davvero un epilogo inglorioso. E, in findei conti, immeritato. Manonlo sipuò escludere. ◀

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