L’accoltellatore dei giudici chiede scusa e vuole uccidersi
Roberto Ferracci, condannato a 12 anni, scrive una lettera da Capanne Per tre volte ha provato ad ammazzarsi in carcere. La difesa: “Sta male”
▶ PERUGIA - Poche righe scritte dal carcere di Capanne dove sta scontando 12 anni di reclusione. Roberto Ferracci, condannato per tentato omicidio nei confronti dei giudici Francesca Altrui e Umberto Rana, chiede scusa.
Il 25 settembre dello scorso anno si era introdotto con un coltello nel palazzo di giustizia di Piazza Matteotti e aveva attentato alla vita dei giudici. "Mi chiamo Roberto Ferracci - ha scritto nel foglietto che riproduciamo in pagina - e ho 54 anni. Da 35 anni soffro di depressione e da 5 anni ero in cura presso il C.S.M. di Foligno. Il 25 settembre 2017 mi sono reso responsabile di un crimine che ha provocato danni fisici e morali a persone alle quali porgo le mie più sincere scuse".
Quindi c’è la firma e la data: il 18 marzo. Ferracci, condannato con rito abbreviato lo scorso 9 febbraio, ha tentato di uccidersi tre volte in carcere - circostanza confermata dalla sua difesa - e ha perso più di 20 chili. L’avvocato Silvia Olivieri che lo difende mette l’accento sulle condizioni di salute di Ferracci.
“Il 23 marzo - spiega - si è tenuta avanti alla prima sezione della Corte di Cassazione l’udienza camerale chiamata a decidere in merito alla legittimità della decisione adottata dal tribunale del Riesame di Firenze che aveva confermato l'ordinanza del gip”.
La difesa ha contestato, in particolar modo “l'eccessività della misura custodiale in carcere, adottata, tra l'altro, senza valutare attentamente la malattia mentale di cui il Ferracci è da diversi anni affetto e che, ad oggi permane, come certificato e documentato dai sanitari e dal servizio penitenziario del Carcere di Capanne”. L’avvocato Olivieri ha rilevato poi che la stessa sezione della Cassazione il 23 novembre dello scorso anno, ha pronunciato una ordinanza “con la quale ha sollevato dubbi di costituzionalità della L. 354/1975 nella parte in cui non prevede la detenzione domiciliare anche in caso di gravi patologie psichiatriche.
Sempre secondo al Suprema Corte - spiega -, la mancata previsione di una misura alternativa al carcere, quando la pena residua è superiore ai 4 anni, per i soggetti con grave infermità psichica, sarebbe in contrasto con la Costituzione e con la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, con il rischio di sottoporre i malati a "trattamenti inumani o degradanti" vietati dall'art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo. La Corte di Cassazione, infine, evidenzia la ne- cessità di dare cure adeguate al malato psichiatrico mediante l'adozione di trattamenti individualizzati”. Tutto ciò riguarda casi dove le persone si trovano a scontare una pena definitiva.
“Tuttavia - precisa l’avvocato - il principio appare condivisibile anche per le persone che, come il signor Ferracci, si trovano ristretti in carcere in applicazione di misure cautelari.” ◀