Astino, gli chef e l’eredità da non tradire
Per l’ex monastero in 5 settimane 20 mila visitatori. Scatta il piano anti-maleducati
Fra i boschi dell’Allegrezza e le colline della Benaglia l’anfiteatro di val d’Astino è di una bellezza struggente, sarò anche di parte ma posti così al mondo ce ne sono ben pochi. La val d’Astino è un sogno, in primavera ma anche d’autunno o in agosto, quando nevica poi ... Chi si avvia per la Madonna del Bosco lasciandosi alle spalle Longuelo incontra sulla destra il convento dei monaci Benedettini ( foto).
Fra i boschi dell’Allegrezza e le colline della Benaglia l’anfiteatro di val d’Astino è di una bellezza struggente, sarò anche di parte ma posti così al mondo ce ne sono ben pochi. La val d’Astino è un sogno, in primavera ma anche d’autunno o in agosto, quando nevica poi ... Chi si avvia per la Madonna del Bosco lasciandosi alle spalle Longuelo incontra sulla destra il convento dei monaci Benedettini, quelli di Bertario da Brescia spediti qui alla fine dell’anno 1000 per far rinascere la Chiesa di Bergamo dopo che il vescovo Arnolfo era stato scomunicato. Dal primo giorno di Bertario sono passati su per giù 900 anni. Astino smette di essere convento ai primi del ‘700 per via di Napoleone, e viene ceduto all’Ospedale che ne fa un manicomio; ma ai primi del ‘900 — nel ‘24 a essere precisi — la proprietà passa di mano, a privati questa volta. Negli ultimi novant’anni il monastero ha vissuto il suo periodo peggiore fra trascuratezza e ruberie per tornare proprio in questi giorni quello di Bertario. Per volontà della gente di Bergamo e l’impegno delle istituzioni certo ma per farlo davvero servivano la lungimiranza del presidente e i soldi della Mia: detto, fatto. Il convento è di una purezza architettonica da togliere il fiato, mancano dall’ala orientale del chiostro certe colonne di rosso di Verona opera del Belinzeri (che adesso pare siano in una dimora di pregio di via Masone) oltre a capitelli e fregi portati via per abbellire certe case dei colli, ma pazienza. È una ristrutturazione che emoziona e ci dice di un periodo difficile della storia di Bergamo fatta di scontri e lotte, di idee e di potere, dentro e fuori la Chiesa, tutti contro tutti insomma. Una situazione intricata che i frati di Vallombrosa hanno aiutato a sbrogliare e chissà se ci saremmo riusciti senza loro. Insieme al convento con il chiostro grande e il cortile dell’ippocastano, quei monaci hanno costruito la chiesa del Santo Sepolcro — il Vescovo Gregorio nel 1146 ha voluto essere sepolto proprio lì — e poi l’Ospedale per i poveri della città. La pietra per fare il convento i benedettini ce l’avevano a portata di mano, era quella della val d’Astino. Se la sono presa insieme a pascoli e campi di grano e d’avena che circondavano il convento. E si sono presi le colline per la vite che dovevano dare abbastanza vino da riempire le enormi botti delle cantine del convento, non belle, bellissime.
Quest’angolo di paradiso che i frati della Toscana hanno regalato a Bergamo insieme a un brandello di civiltà non sono riusciti a profanarlo nemmeno i veneziani che pure nel 1452 ci avevano provato. E adesso? Cosa sarà del convento di Astino? S’era parlato di un albergo di lusso o di un golf, poi per fortuna ci hanno ripensato. Pare che affideranno parte dei terreni a giovani agricoltori per farne colture «biologiche» e lo faranno con l’orto botanico. Un po’ anacronistico oggi che basta scambiare un gene per migliorare la qualità dei prodotti, ma certo meglio del golf. E poi? Il futuro di Astino è nella sua storia di devozione e preghiera, qui ci siamo. Il restauro della chiesa del Santo Sepolcro sarà occasione per tanti per tornarci dopo anni di abbandono. La Mia restituisce a Bergamo un luogo di culto che non ha uguali. Ma i frati facevano anche dell’altro: agricoltura d’avanguardia per quei tempi - che vuol dire soprattutto ricerca, sono loro che ci hanno insegnato a fare il vino — e poi si occupavano d’arte e avevano speciale attenzione per gli ammalati e per i poveri. Ma si potrà conciliare tutto questo con la scuola di cucina? Certo, una scuola che insegni come si può mangiar bene con poco e senza danni ambientali è quanto di meglio si possa fare per raccogliere la vocazione dei benedettini all’agricoltura, ma i cuochi «stellati» no, sarebbe come profanarla quell’eredità (salvo che quell’iniziativa non serva per finanziare anche dell’altro). I monaci portarono qui le viti di Vallombrosa, adesso in val d’Astino crescerà luppolo per la birra, benissimo purché sia di qualità e non costi troppo, come il vino dei frati. E l’attenzione ai poveri e agli ammalati? Basta ispirarsi alla bellissima mostra del National Geographic ospitata proprio ad Astino in questi giorni che documenta di come si mangi sulla terra, e di come qualcuno mangi troppo e moltissimi troppo poco. Ecco di cosa ci si potrebbe occupare ad Astino nei prossimi anni, con un obiettivo ambizioso provare a ridurre il divario tra chi ha troppo e chi non ha nulla. Che è poi (insieme all’attività fisica che impegnava i frati per molte ore al giorno) l’unico modo per prevenire le malattie. Che da noi dipendono dal mangiare troppo e male e altrove dalla carenza d’acqua e d’acqua pulita soprattutto e dal non avere abbastanza cibo.
E chi paga per un progetto così? L’Europa, attraverso Horizon 2020, sarebbe anche un modo per riprenderci un po’ di quello che noi versiamo alla Unione ogni anno per la ricerca e che ci ritorna solo in parte. E come si fa? Serve un grande progetto fra le istituzioni di ricerca della città che già hanno competenze in questo campo e fra noi e i grandi gruppi europei che competono per questi fondi; per i prossimi bandi per sicurezza del cibo e bioeconomia ci sono tre miliardi e ottocentomila euro. Ma, ammesso di vincerlo, un bando così dà i soldi per la ricerca. Per la gestione e per pagare alla Mia l’affitto dei locali si può pensare a fondi della Regione per la prevenzione o a quelli del Governo (nel Piano nazionale prevenzione 2014-2018 il finanziamento per le azioni di prevenzione delle Regioni è previsto in 200 milioni di euro l’anno e va ad aggiungersi alle risorse stanziate per le azioni a livello centrale - 1,4 miliardi nel 2013). Ci possono essere anche sinergie di privati già impegnati nel settore alimentare, Eataly per esempio, che ormai ha iniziative dappertutto. Prima che si parlasse di scuola di cucina il parroco di Longuelo Massimo Maffioletti scriveva a proposito del futuro di Astino «qualcosa dell’antica vocazione monastica andrebbe salvaguardato». Giusto. Con un progetto così si salvaguarda tutto.
Nei secoli I benedettini facevano ricerca, agricoltura d’avanguardia, erano attenti alla povertà Il presente Sì alla scuola su alimentazione senza danno ambientale, ma non con chef «stellati»