Inossidabile Leo Nucci
«Me lo s ono preparato ped a - lando, tra le ciclabili attorno alla mia Lodi e in Costa Azzurra, dove sono appena stato percorrendo 600 chilometri in dieci giorni; in sella mi mantengo tonico, ripasso i brani e se non sono in salita li canticchio. E non sarà robetta: quattro pezzi mai cantati in pubblico, altri che non toccavo da quasi quarant’anni». Leo Nucci ama le sfide per provare la sua vitalità, per comunicare la sua voglia di cantare, per condividere quelle perle di cui è interprete inconfondibile. Stasera è protagonista alla Scala in un recital «che è soprattutto un tributo al Belcanto: oggi lo si esegue come fosse il Verismo, esasperandolo, mentre la sua cifra è l’intimità. Vorrei far riassaporare al pubblico la fragranza genuina di Donizetti e Bellini, vedremo il risultato». Si può essere ottimisti, pensando alla classe inossidabile del 73enne baritono: otto anni fa, come settimo bis di un recital, cantò e fece cantare al pubblico «Mamma son tanto felice»: «Non immagina quante persone vennero in camerino ringraziandomi perché avevo coronato il loro sogno di cantare alla Scala». Questa volta parte dall’amato Verdi: «Tre preghiere, le prime due neppure pubblicate, una dedicata a Manzoni. “L’esule” fu il suo biglietto da visita: è del 1839, non aveva ancora compo- come bis. Presentava Peter Ustinov; quando salii sul palco commentò: “Avete le elezioni, giusto?”. Da buon italiano… non t’accostar all’urna!». Poi arie da Bellini e Donizetti «mai cantate in pubblico: vista l’età non potevo aspettare ancora molto; Bellini era stimato da Wagner, la chiusura dell’aria “Qui m’accolse” dalla Beatrice di Tenda si ritrova uguale nel Tannhäuser». Preludio al Barbiere di cui sarà protagonista a luglio è «Resta immobile» dal Guglielmo Tell: «Una tensione incredibile, il padre che alla prova della mela ordina al figlio di non muoversi; meno male che con quest’opera Rossini doveva irridere il mondo della lirica, se avesse voluto scrivere qualcosa di serio che cosa avrebbe fatto?». Il dubbio rima- ne e allora tanto vale concentrarsi su quanto davvero composto dal Cigno di Pesaro: pur non avendolo interpretato 500 volte come Rigoletto, Figaro è l’altro ruolo che ha segnato la carriera di Nucci: «Col Barbiere ho debuttato alla Scala: era il 20 gennaio 1977, con l’allestimento di Ponnelle che riprendiamo ora; tutto uguale anche trent’anni fa, e fu l’ultima volta che Claudio diresse un’opera alla Scala. Largo al Factotum va cantato scendendo da un palo come un pompiere; nell’81 a Tokyo lo stavo provando, il figlio di Claudio disse che era troppo facile e mi sfidò a cantare arrampicandomi; Claudio sorrise e fermò l’orchestra, un cenno e via: ci riuscii!»
Ho ripassato il concerto in bicicletta sulle strade della Costa Azzurra
Sbaglia chi interpreta il Belcanto come fosse il Verismo: la sua cifra è l’intimità