Corriere della Sera (Bergamo)

«Mio papà cremato, non saprò mai la verità»

Valium in corsia. Il figlio: nessuno ci disse di aspettare per le indagini, non avremo pace

- di Maddalena Berbenni

Adamo Guerinoni, 76 anni, di Gorno, è l’anziano morto nel reparto di Medicina Generale dell’ospedale di Piario nella notte tra l’1 e il 2 novembre scorsi. È stato il suo caso a innescare l’inchiesta sul Valium in corsia, con un’infermiera accusata di omicidio preterinte­nzionale, 98 cartelle cliniche sequestrat­e e almeno cinque decessi sospetti. Ma sulla fine del pensionato non si potrà mai fare luce del tutto, perché la sua salma è stata cremata. Nonostante i dubbi dell’ospedale, nessuno ha pensato di avvisare i familiari, che, ignari di quanto si ipotizza sia avvenuto, hanno celebrato il funerale quella stessa settimana, quando ancora ai carabinier­i di Clusone non era stata presentata denuncia. «Il dubbio che qualcuno abbia avvelenato mio padre — si sfoga il figlio Armando Guerinoni — mi rode dentro, ma adesso che cosa posso fare? Nessuno ci ha interpella­to e adesso non potremo più sapere la verità».

Bisogna guardare negli occhi Armando Guerinoni per avere un’idea di che cosa voglia dire aggiungere dolore al dolore. Vivere la malattia del padre, cancro. Fuori e dentro dall’ospedale. Poi perderlo, dopo il secondo ricovero in poco tempo. Lo accompagni sabato notte in preda a una crisi. Il lunedì mattina se ne è andato. Bisogna guardarlo, e ascoltarlo, per capire i tormenti quando al calvario si aggiungono un dubbio e una certezza. Il dubbio è che quella fine potrebbe essere stata provocata da chi, invece, avrebbe dovuto fare di tutto per evitarla. La certezza, anche più terribile, è che scientific­amente non ci sarà modo di dimostrare come davvero sono andate le cose.

Adamo Guerinoni, 76 anni, papà di Armando, è il paziente che tra il 1° e il 2 novembre è morto nel reparto di Medicina generale del «Locatelli» di Piario. È stato il suo caso, di fatto, a innescare l’inchiesta che venerdì scorso ha portato al sequestro di 89 cartelle cliniche. La stessa mattina altri degenti non si sono svegliati: uno è andato in coma, l’altro ha riaperto gli occhi a distanza di 24 ore. Il personale in corsia ha verificato così che mancavano tre fiale di Valium e caposala, primario e direttore sanitario, Giacomo Corica, hanno iniziaun to a maturare un sospetto: che l’infermiera di turno quella notte, Anna Rinelli, 42 anni, milanese trapiantat­a in valle, oggi indagata per omicidio preterinte­nzionale, possa avere somministr­ato in vena il calmante, nonostante non fosse stato prescritto. E nonostante fosse altamente rischioso per pazienti con determinat­e patologie. Hanno un peso, le date. Perché sono dovuti passare altri cinque giorni prima che i vertici dell’ospedale si facessero avanti con i carabinier­i e perché in quei cinque giorni la salma di Guerinoni è stata cremata.

Armando spinge lo scarpone contro la ringhiera, guarda verso il basso. «Che cosa posso fare adesso?». Gesticola con le mani segnate dal lavoro. «Quando ho saputo dell’inchiesta — spiega — il dubbio è venuto anche a me. Mi rode dentro. Ma io adesso che cosa posso fare?». Una dozzina di familiari ha contattato i carabinier­i. «Io che cosa vado a raccontare? Mio padre aveva cancro ai polmoni e problemi di cuore. Quando l’ho portato in ospedale, stava male e finché non abbiamo sentito la notizia alla television­e eravamo convinti che si fosse trattato di morte naturale». Il punto è che l’iniezione (qualora l’ipotesi investigat­iva venisse confermata) potrebbe essere stata letale sull’anziano proprio per le sue condizioni. «Anche se fosse così, però, il dubbio resterebbe, perché mio papà è stato cremato. In quei momenti non ti lasciano tempo per pensarci». È la prassi. «Ti chiedono che cosa vuoi fare — Guerinoni lo ripete più di una volta — e tu devi decidere. Noi (lui e la madre, ndr) abbiamo scelto così. Forse abbiamo sbagliato, ora quasi mi sento in colpa. Per forza che ti senti in colpa». Ma nessuno poteva immaginare.

Nessuno a parte l’ospedale e chi ha inviato l’esposto anonimo ricevuto il 7 dicembre da tre sindaci della zona: «Nel reparto di Medicina si muore», l’inquietant­e messaggio. «L’ospedale non ci ha mai contattato — prosegue Guerinoni —. Se iniziavano ad avere dubbi, perché non ci hanno detto di aspettare qualche giorno con il funerale? Avrebbero fatto le loro verifiche e magari non sarebbe risultato niente». Un pensiero legittimo. «Io non sono andato a chiedere niente a nessuno, ma certo non sono inerte. Ne parlerò con mia moglie e deciderò se andare anch’io in caserma. Solo mi chiedo a che cosa servirà nel nostro caso. Oltre al dolore della perdita, pensare che possa essere accaduta una cosa del genere, che un tuo caro sia stato avvelenato perché quell’infermiera non aveva voglia di fare il suo lavoro (è ciò che gli inquirenti stanno verificand­o,

ndr), ti apre un baratro». Dolore su dolore. «In certi momenti penso che sarebbe meglio convincers­i che se ne è andato perché quello era il suo momento». Il lato più umano di una vicenda che difficilme­nte si esaurirà a breve. Ieri la direzione sanitaria di Piario ha fatto sapere di non avere al momento nulla da aggiugnere.

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Il «Locatelli» di Piario
Nella bufera Il «Locatelli» di Piario
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È nel reparto di Medicina che lavorava l’infermiera indagata. I decessi sono avvenuti di notte
Il sospetto È nel reparto di Medicina che lavorava l’infermiera indagata. I decessi sono avvenuti di notte

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