Bossetti, altro no «Resti in cella: potrebbe rifarlo»
I giudici: già due decisioni della Cassazione, nulla è cambiato a suo favore
La Corte d’Assise ha detto no agli arresti domiciliari di Massimo Bossetti. È il nono, da diversi giudici. «Ha già deciso così per due volte la Suprema Corte e nulla è cambiato». Pericolo di reiterazione, per una serie di elementi «dai quali è stata desunta una mancanza di freni inibitori».
Due righe sintetizzano in modo chiaro la decisione: «Tale motivazione per ben due volte è stata ritenuta congrua dalla Suprema Corte e questa Corte non ravvisa ragione per disattendere tale giudizio». «Questa» Corte sta processando Massimo Bossetti per l’omicidio di Yara Gambirasio. E ieri, nel giro di 24 ore, ha respinto la richiesta di Bossetti di metterlo ai domiciliari, anche con il braccialetto elettronico.
Vale, quindi, quello che ha già deciso la Suprema Corte: in diritto si chiama giudicato cautelare, sulle spalle dell’imputato è un macigno (ora il nono no). La motivazione con cui i diversi tentativi della difesa sono stati stoppati indica una «pluralità di elementi specifici dai quali è stata desunta una mancanza di freni inibitori tale da rendere altamente probabile la reiterazione di condotte aggressive». Sono: «La particolare efferatezza nell’esecuzione del delitto, la casualità nella scelta della vittima, le circostanze di tempo e di luogo».
I giudici dell’Assise non vedono motivo per cambiare valutazione «stante la gravità» di questo omicidio, per via di più aspetti: «Le modalità esecutive della condotta (la vittima è stata attinta da una pluralità di colpi e abbandonata agonizzante in un campo), la persona della vittima, un’adolescente indifesa; le condizioni di tempo e luogo (aggressione in orario serale, nel percorso della vittima verso casa); l’assenza di rapporti pregressi tra aggressore e vittima».
Lunedì, in aula, la difesa ha elencato una serie di punti a favore di Bossetti, come l’incensuratezza, la sua vita monacale tutto casa, lavoro e famiglia, il fatto che in quattro anni dall’omicidio non sia mai scappato nè abbia cambiato la sua vita di una virgola. A fronte degli elementi di gravità, però, la bilancia della giustizia (cautelare) pesa comunque a suo sfavore: «L’incensuratezza e la vita regolare dell’imputato non assumono rilevanza apprezzabile ai fini cautelari», si legge nell’ordinanza. Lo stesso peso hanno il tempo trascorso dai fatti, e quello in carcere, perché «non si è verificato alcun cambiamento nelle condizioni di vita e personali dell’imputato tale da far ritenere che, a fronte di analoga pulsione aggressiva, interverrebbe oggi un miglior meccanismo di controllo». Alla luce di questo contesto, concludono i giudici (la presidente Antonella Bertoja, il giudice a latere Ilaria Sanesi e i sei più uno di riserva giudici popolari), «appare evidente che una misura come quella degli arresti domiciliari, anche con il braccialetto elettronico, non sarebbe in grado di scongiurare il descritto pericolo di reiterazione con le stesse garanzie offerte dalla misura attualmente in applicazione».
Bosetti proseguirà quindi il processo da detenuto. La misura cautelare scade a maggio, termini riconteggiati dopo il rinvio a giudizio da parte del giudice dell’udienza preliminare. Entro quella data il dibattimento potrebbe anche essere terminato. Prosegue a ritmo spedito. Lunedì la ventunesima udienza da settembre, più le due di luglio prima della pausa estiva. Solo da gennaio a marzo ne sono state fissate diciassette, con cadenza settimanale e bisettimanale. I consulenti della difesa sono stati quasi completati. Quelli degli argomenti più corposi — Dna e furgoni — hanno parlato. Inizieranno per blocchi di temi quelli della difesa. L’8 gennaio Ezio Denti, sul furgone.
Il braccialetto «Appare evidente che questa misura non scongiura il pericolo di reiterazione del reato»