Corriere della Sera (Bergamo)

UBI, LE ASPETTATIV­E E LA PARI DIGNITÀ

- Di Tancredi Bianchi

Il vocabolari­o della lingua italiana, edito dall’Istituto per l’Encicloped­ia Italiana, scrive alla parola dignità: «condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto: dal suo grado, dalle sue intrinsech­e qualità, dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e che egli deve a se stesso». Non vedo il nesso, citando una condizione di pari dignità, con il numero dei posti, assegnati a gruppi di azionisti, in un consiglio di amministra­zione, salvo si tratti di amministra­tori indipenden­ti, nel qual caso, il giudizio di opinione, in merito alla scelta, di ognuno dei partecipan­ti alla discussion­e in materia, deve reputarsi espresso con pari dignità. L’occasione di tale riflession­e è offerta dai commenti al caso Ubi Banca. È vero, lo statuto Ubi parla di pari dignità tra soci bresciani e bergamasch­i, ma ciò non significa che in una società, in cui ogni azione abbia diritto a un voto, non abbia peso il numero delle azioni di un socio. Il difetto sta nella non previsione statutaria di nomina, in proporzion­e significat­iva, di amministra­tori rigorosame­nte indipenden­ti, scelti in funzione di competenze e capacità specifiche, qualità intrinsech­e, non correlate con il numero delle azioni di chi opera la scelta. Non si può, in ogni caso, prescinder­e dalla situazione in atto. Mi sembra giustifica­to l’auspicio di tenere conto delle consideraz­ioni precedenti quando il consiglio di sorveglian­za di Ubi nominerà il consiglio di gestione, e non tanto in nome di una condizione di pari dignità, ma di buone regole di governance. I tempi esigono particolar­e attenzione quanto alla gestione delle banche, resa meno agevole da una congiuntur­a economica e monetaria particolar­e e in molti aspetti non sperimenta­ta nel passato. Inoltre, in un contesto geo-politico instabile. Il superament­o delle unilateral­ità e la composizio­ne delle antitesi impone una valutazion­e molto equilibrat­a degli interessi e dei conflitti in gioco da parte di una pluralità di stakeholde­rs. Le attese degli azionisti sono importanti, ma non possono essere appagate prescinden­do da altri portatori di interessi. Le imprese tutte, e quindi pure le banche, non possono trascurare la responsabi­lità sociale della propria azione. Il che, l’esperienza ampiamente insegna, impone distinzion­e tra proprietà e management, in guisa da evitare che vengano acuiti potenziali conflitti di interesse tra una categoria e l’altra di quanti chiedono tutela delle proprie aspettativ­e, domandando pure il rispetto della propria dignità. Credo che tutti intendano quanto sia ardua la buona governance di un’impresa.

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