Corriere della Sera (Bergamo)

La stretta di mano del vescovo ai detenuti (anche a Bossetti)

Monsignor Beschi in via Gleno per la Via Crucis

- Fabio Paravisi

Il vescovo ha scelto il carcere per la Via Crucis del Venerdì Santo. «Terza stazione, Gesù cade per la prima volta»: è lì che monsignor Francesco Beschi stringe la mano ad alcuni detenuti. Tra loro, proprio alle sue spalle, anche Massimo Bossetti.

Terza stazione, «Gesù cade per la prima volta»: è lì che il vescovo incontra Massimo Bossetti. Francesco Beschi ha appena cominciato la Via Crucis del Venerdì Santo, che ha deciso di effettuare per la prima volta nel carcere di via Gleno. E che concluderà con una cosa mai fatta prima: l’apertura della porta della cappella del settore femminile con le stesse modalità della Porta Santa della Cattedrale. Per tutta la durata del Giubileo la piccola apertura, sulla cui architrave è stato scritto a

L’incontro L’imputato per il delitto di Yara era dietro il vescovo ed è stato fra i primi a salutarlo Soltanto la misericord­ia di Dio può cambiare i cuori e trasformar­e le sbarre in una esperienza di libertà. Il carcere non è la discarica dell’umanità Francesco Beschi Vescovo

pennarello «Misericord­ia e perdono » , sarà una Porta Santa a tutti gli effetti, con indulgenza a chi la varcherà. Chi parlerà alla fine (dal sindaco Giorgio Gori ai deputati Elena Carnevali e Antonio Misiani, dal direttore dell’ospedale Carlo Nicora alla consiglier­a regionale Lara Magoni, dalla presidente della Camere penali Monica Di Nardo al prorettore vicario dell’Università Giancarlo Maccarini) racconterà di una grande emozione.

Anche perché ognuna delle quattordic­i stazioni viene accompagna­ta da storie di detenuti, raccolte dal cappellano don Fausto Resmini. C’è l’ex bambino soldato nigeriano e il giovane che ha cominciato a drogarsi a 12 anni perché era «sempre stato la pecora nera della famiglia». C’è chi si rimprovera di non essere riuscito a «chiedere aiuto, per questo maledettis­simo orgoglio, ma sento dentro di me la grande voglia di farmi aiutare»; chi «la sera in branda sente arrivare la tristezza e i pensieri»; chi racconta l’arrivo in carcere, e si è «sentito un niente»; chi chiede scusa ai genitori, e chi conclude: «Solo Dio può salvare dai cattivi compagni di cella perché le cose più importanti per un detenuto sono la tranquilli­tà e il sonno».

E poi le facce, le espression­i di coloro che, raccolti nei corridoi, hanno seguito le preghiere e i canti con aria intenta (molte donne erano abbracciat­e) come se da lì potesse arrivare un po’ di libertà. Tra loro c’era anche Massimo Bossetti. La terza stazione della Via Crucis è rappresent­ata dalla porta con la targa Sezione lavoro esterno. Ma da lì si sale alla Sezione protetti, dove ci sono i detenuti per reati sessuali. Sulle scale se ne sono raccolti dodici, e in prima fila c’è l’imputato dell’omicidio di Yara: pantaloni della tuta blu, maglione verde, ciabattine da spiaggia, si mette proprio dietro il vescovo. E quando Beschi, terminate le preghiere, si gira, è fra i primi a stringergl­i la mano. Se il monsignore lo ha riconosciu­to non lo dà a vedere: stringe le mani a tutti, porge a qualcuno il crocefisso da baciare, e la Via Crucis continua.

«Questa non è la discarica dell’umanità, faremmo un torto a noi stessi se non consideras­simo tutti i bisogni di questa vita condivisa — dice infine il vescovo alle persone raccolte nella piccola cappella —. A volte fra noi e loro si avverte una distanza. Ma la croce diventa un ponte, e la misericord­ia di Dio può cambiare i cuori e trasformar­e le sbarre in esperienza di libertà».

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Dietro le sbarre Il vescovo Francesco Beschi ieri durante la Via Crucis

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