LE VELLEITÀ DI SVILUPPO E L’INCUBO SICUREZZA
L’immagine del cargo planato rovinosamente sull’ex statale cremasca, dice tutto. Racconta di una tragedia sfiorata, alle 4 di notte, quando per miracolo non passavano veicoli su un’arteria a scorrimento veloce (fosse successo anche solo due ore dopo, sarebbe stata una strage). E ci ricorda il precedente disastro: 31 ottobre 2005, nebbia fitta, ore 22.30, un bimotore si schianta in un campo non lontano dalle case. Morti i tre membri dell’equipaggio, poteva finire molto peggio. Vista così, con l’autostrada che costeggia l’aeroporto e il territorio intorno densamente urbanizzato, si può dire che finora uno stellone enorme (o un’impareggiabile efficienza, direbbe la società di gestione) abbia protetto lo scalo di Orio, terzo aeroporto d’Italia per numero di passeggeri, 74 mila voli l’anno, utili da capogiro sempre in crescita, prossimo alle nozze con la Sea di Milano. E con un ambizioso piano di sviluppo: 100 mila voli entro il 2030. Ieri si è materializzato l’incubo che sottovoce ci si è raccontati migliaia di volte, anche solo per esorcizzarlo, passando in macchina accanto alla pista: «Pensa se un aereo finisse sull’A4». L’altra notte ci siamo andati vicino e solo per puro caso non si contano i morti. Vero che nessuno può garantire il rischio zero. Prima di parlare di ulteriore sviluppo, però, urge una seria riflessione sulla sicurezza. Senza pregiudizi, senza quei toni accesi che a volte hanno penalizzato il dibattito sull’aeroporto e sui disagi che, accanto alle formidabili ricadute sull’economia locale, inevitabilmente si porta dietro.