Alessandro Valtulini Il maestro che dirige se stesso
Si ricorda ancora i momenti della prima mondiale con la Philharmonia Orchestra di Londra. Era il 10 settembre 2012. Giubileo della Regina. Alessandro Valtulini aveva 25 anni. «Quando si è giovani di solito si ha paura di affrontare certi livelli. Ma io no», racconta con una convinzione che non lascia spazio a dubbi. «Sarà stato per la mia musica — prosegue — ma mi sentivo deciso e convinto di quello che facevo. Ero tranquillo», racconta. Le sue parole hanno un che di straordinario, pensando che Riccardo Muti diresse la stessa orchestra a 31 anni, mentre lui è partito da lì a venticinque, dirigendo se stesso: musica composta da lui. E per questo, dopo dieci primati assoluti ricevuti, Valtulini, 29 anni appena compiuti, il 10 ottobre a Torino sarà insignito del premio speciale alla carriera come compositore e direttore d’orchestra.
«Sono l’unico al mondo a scrivere sinfonismo e dirigerlo — dice con decisione quasi spiazzante —. Una mia vita è già finita. Ho un repertorio vasto dagli stili differenti e formato da un integrale di 20 opere sinfoniche per un totale di 8 ore di sinfonismo, scritte di getto. Ho avuto una scrittura precoce, sarà difficile andare oltre». Così ora si dedica a dirigere la propria musica per farla conoscere il più possibile ai giovani, insegnando loro le partiture. E lo farà da domani al 13 agosto all’Orford Music Festival a Montréal, dove dei giovani musicisti dell’orchestra canadese eseguiranno per la prima volta 6 delle 20 opere sinfoniche scritte, che si ascolteranno integralmente in autunno alla Scala con la Philharmonia, per tre serate consecutive, in omaggio a David Whelton, l’amministratore delegato dell’orchestra di Londra.
A lui Valtulini scrisse una mail nel 2011 chiedendogli di incontrarlo, perché «volevo debuttare con loro eseguendo mie opere – ricorda -. Era fantascienza pura. Lui è al top della classica a livello mondiale. Ma quella che sembrava un’impresa impossibile poi si è realizzata: Whelton mi rispose dopo pochi giorni chiedendo di vedere alcune mie partiture. Ci conoscemmo. Iniziò la nostra avventura. A settembre si ritirerà e lo onorerò alla Scala regalandogli l’integrale».
Il concerto a Milano sarà un ulteriore risultato per il maestro bergamasco. Nativo di Adrara San Martino, inizia a suonare il piano a 6 anni per passione. Dopo la laurea al Conservatorio di Musica «Luca Marenzio» di Brescia, una vita spesa per la musica, definita «una forma di libertà assoluta, specchio dell’anima». Non ha avuto nessuna spinta né da case discografiche né da maestri, se non dalla sua caparbietà. «Venivo dal nulla — dice —. È stato un miracolo dirigere a 25 anni la Philharmonia Orchestra, che ha creduto in me. Cosa irripetibile, sarà replicata a Milano eseguendo l’integrale di una vita sotto i trent’anni. Evento storico se si pensa ai grandi sinfonisti come Brahms, Mendelssohn, Schumann, che hanno scritto sì e no quattro ore di musica, circa metà della mia, e Beethoven, che ha composto la prima sinfonia da trentenne, mentre io termino un integrale a 29». Parole che possono far rabbrividire, visti i nomi citati, il gotha della musica classica. Ma lui ne è certo: «Sono pochi ad avere una produzione così vasta. Dubito di scrivere altro. Dopo Londra credo sarà difficile superare certi livelli tecnici».
Valtulini ha preso spunto dai maestri Beethoven, Mozart, Schubert e Bach. Ne ha mixato gli stili per crearne uno suo, innovativo, riscrivendo «una grammatica sinfonica», dice, spiegando che la lettera «a» di questo abbecedario sta «nell’evoluzione della sinfonica in grande sinfonia, sviluppando la forma della fuga aggiungendo temi, voci, divertimenti». La «b» nell’ouverture dai tempi dilatati. La «c» nell’aver modificato il concerto per violino e orchestra scritto «non per strumento solista, ma basandosi su uno scambio di ruoli dove l’arco gioca a specchio con gli orchestrali».
Le sue parole seguono una partitura propria, da ascoltare più che spiegare. Ma chi è Valtulini? «Un conservatore innovatore – dice -. È il mio motto, perché mantengo le grandi tradizioni. Non credo nel futuro della musica come dodecafonica e stonata, ma in un nuovo mondo con musica tonale e sinfonica». E conclude: «Non sarei il vero Valtulini se, come tutti, dirigessi opere di altri. La mia filosofia è mantenere l’esclusiva di essere compositore e direttore d’orchestra della mia musica. Un artista non è tale al cento per cento se diventa interprete di un altro. Non dirigerei una sinfonia di Beethoven, cosa fatta dai più grandi direttori d’orchestra del passato da centocinquant’anni. Il vero Beethoven si poteva sentire solo da lui. La musica va vissuta nei tempi per i quali è stata scritta. La differenza sta nel vedere l’artista vivente dirigere se stesso. E la Philharmonia è contenta di questo: può chiedermi come deve eseguire l’opera così come è stata pensata. In questo modo agli orchestrali spiego il mio essere. È una scelta forte lo so, ma la mia originalità sta lì: Valtulini dirige se stesso».
Il personaggio Già nel 2012 la direzione della Philarmonia di Londra per le sue opere La sua musica All’attivo ha otto ore di sinfonie. Da oggi le eseguirà all’Orford Music in Canada