Quella bellezza danese, ossigeno nel delirio del treno fermo sotto il sole
Il regionale veloce 3995 delle 14.30 da Sassari è fermo sotto il sole. Non va più. Pietrificato. Un nuraghe su rotaia nelle campagne del Logudoro. A metà strada tra le stazioni di Chilivani e Terralba, alla confluenza tra il rio Pizzinnu e il rio Mannu i motori si sono spenti e non c’è stato verso di farli ripartire. Gli altoparlanti si sono adeguati. Mentre il treno andava, era tutto un gracchiare a vanvera. Trenitalia di qua, di là, di su e di giù. Appena il treno si è bloccato sono ammutoliti. Un’ora e mezza, zero annunci. Nel vuoto informativo si fa strada una consapevolezza. Il treno non sarà a Cagliari per le 17.25. Tra i passeggeri, quasi tutti stranieri, c’è chi perderà l’aereo. Altri perderanno la nave. Altri ancora perderanno coincidenze ferroviarie. Tutti perdono le staffe.
I soli a rimanere imperturbabili sono loro. Lui con una coppola di tessuto leggero sfoglia una guida. Lei guarda fuori dal finestrino, nel sole che brucia la campagna e le splende tra i capelli, sul volto e sulle spalle. Io non desidero la donna d’altri. In casi eccezionali, con tutte le precauzioni del caso, mi limito ad ammirarla. Ma gli altri passeggeri non me lo consentono. Mi circondano e mi bombardano di domande. Sono italiano e da me vogliono sapere perché il treno è fermo e per quanto lo sarà. Mentre mi arrabatto per far capire che ne so quanto loro, lei smette di guardare fuori, lui abbassa la guida e mi sorridono.
Ricambio. Sono danesi. Non hanno fretta. Sono diretti in un convento dalle parti di Cabras per provare non so quale vino prodotto da non so quali monache. Prendo nota, loro scendono a Oristano, io a Cagliari e nel ristorante di un amico ne chiedo subito una bottiglia. Bevo e sogno. Non faccio male a nessuno e chi è senza peccato scagli la prima pietra.