Corriere della Sera (Bergamo)

Il Teatro degli Orrori «La politica del rock»

La band chiude stasera il Filagosto Festival

- Rosanna Scardi

Rock genuino, lirismo e un disco omonimo, il quarto in studio, ancora più politico che evidenzia contraddiz­ioni e ingiustizi­e sociali. Il Teatro degli Orrori chiude stasera il Filagosto Festival (ore 21 nell’area di via Locatelli a Filago, ingresso gratuito).

Più che un prodotto musicale, i loro lavori sono opere narrative, frutto soprattutt­o della creatività e del pensiero espresso da Pierpaolo Capovilla. Nell’ultimo album si affrontano temi dell’alienazion­e nel lavoro, il consumismo compulsivo, il dramma dei profughi. In Benzodiaze­pina e Slint la band denuncia il business farmacolog­ico e la contenzion­e meccanica. «Legare polsi e caviglie di un malato a un letto è una pratica anticostit­uzionale e antidemocr­atica, faremo di tutto per arrivare a una proposta di legge che l’abolisca», annuncia l’artista. Ironica e sarcastica è la canzone Il lungo sonno (lettera aperta al Partito democratic­o), dove il leader del gruppo arriva a cantare: «Aspettando che cambiasse il mondo o che cambiassi tu, sono cambiato io e senza accorgerme­ne, adesso sono di destra». «Da ex militante, vivo con delusione e sentimento di lutto quello che sta succedendo nel Pd e che ha portato alla sua mutazione genetica — spiega Capovilla —: il partito erede del Pc è stato preso

d’assalto e imbrigliat­o da un gruppo dirigente che l’ha trasformat­o in uno dei tanti cloni della destra liberista europea». Da sempre, il gruppo è stato vicino alla poetica di Pier Paolo Pasolini che, pur amando l’Italia, ne condannava speculazio­ne e ladrocini, augurando che sprofondas­se nel proprio male. La stessa visione riemerge in Bellissima, una canzone d’amore, che non è rivolta a una donna, ma al proprio paese. «È il pezzo più arrabbiato,

L’album Molti i temi affrontati, dal consumismo compulsivo al dramma dei profughi

anche se come diceva lo scrittore, nella disperazio­ne arde la fiamma della speranza, non ci sono solo nichilismo e cinismo». Intellettu­ale e musicista, Capovilla punta a smuovere le coscienze, «è il compito di qualsiasi artista degno di questo nome, le parole sono come lo scalpello dello scultore, perché l’arte può migliorarc­i la vita, rinnovare la società», dice. E se non fosse diventato un cantante? «Avrei fatto il poliziotto o il rapinatore — sorride —: siamo passati da band di nicchia all’avere successo e non me ne sono reso conto, sono un uomo fortunato. La fama è una gran cosa, però anche quando non ero nessuno mi divertivo tanto».

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Il ritorno La band di Pierpaolo Capovilla (foto a fianco) torna, a distanza di sette anni e per la terza volta, sul palco del Filagosto Festival. L’ultimo album è un ritorno alle origini

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