Schilpario, il maestro e il suo buen retiro nei luoghi d’infanzia
Il maestro a Schilpario tra pittura e pianoforte
Le passioni del maestro sono una accanto all’altra. In pochi metri quadri di spazio, al quarto piano del palazzo nel centro storico di Schilpario, si concentra la casa-studio di Mario Donizetti. In primo piano, quasi fosse un’esposizione voluta per uno scatto fotografico, una quinta di color marrone che separa il letto matrimoniale dall’universo poetico di un grande artista: lo scaffale di colori e pennelli, e la tastiera del piano dove compone musica. Vita privata e vita lavorativa quasi sospese in una dimensione spazio-temporale che al centro vede il maestro e sua moglie Costanza, musa e assistente, assorti nell’unica anima indistinguibile di una coppia, che nel tempo ha finito con il dimenticare la mappatura dei confini individuali.
«La casa non è molto grande — spiega il pittore — ma è funzionale per i mesi estivi che trascorriamo lontani da Bergamo». Il buen retiro di Mario Donizetti e Costanza Andreucci è nel cuore della Val di Scalve. «Ci venivo da bambino — racconta il maestro — e per anni ho passato qui le mie vacanze. Sei anni fa abbiamo deciso di acquistare questa casa a Schilpario. È un bel posto». Come trascorrete il tempo? «Scriviamo, passeggiamo, lavoriamo. Anche se quest’anno dipingo poco. Mi dedico di più alla musica».
Schilpario è stata la patria di personalità d’eccellenza. «Ma certo. Come il cardinal Angelo Mai, una potenza culturale. E monsignor Andrea Spada, che conoscevo bene. Quante volte siamo usciti a cena insieme».
È un luogo da cui trae ispirazione per il suo lavoro? «Schilpario è un paese bellissimo. Ma non c’entra con l’ispirazione, esattamente come gli altri luoghi. Un vero artista dal punto di vista teoretico non è mai sprovvisto d’ispirazione».
Che impressione ha della comunità scalvina?
«Mi sembra intelligente e vivace. Ma nei difetti assomiglia un po’ a quella di Bergamo, che tende a essere invidiosa e interessata».
Ha un rapporto difficile con la sua città?
«A Bergamo mi amano poco. Forse perché sono una persona anomala: ho sempre
qualcosa da ridire». Per esempio? «Prenda la Carrara. Adesso pare vogliano aprire un ristorante vicino all’Accademia. Si spendono soldi per niente».
Dunque anche lei non ama i bergamaschi.
«Nient’affatto. Li amo moltissimo. Sono il classico “coiò” che ama gli altri, ma loro restano infastiditi dall’amore. Invece a me piace il confronto. Mi è capitato anche con Franca Ciampi, una sera a cena. Si parlava del concetto di “soggettivo”. Le dissi: Donna Franca, il soggettivo non esiste. Lei disapprovava. Spiegai: tutto è oggettivo. L’interpretazione
personale deriva unicamente dalla selezione che il soggetto fa delle cose oggettive. Mi guardò stupita e disse: sa che ha ragione?».
Non a caso lei viene definito uno dei più grandi esponenti del realismo contemporaneo. Ci si ritrova?
«Se come pittore realista intendiamo colui che compie un lavoro di analogia alla realtà, direi di sì. Sono realista nel momento in cui idealizzo attraverso una sintesi le analisi reali. Ma comunque tutto viene filtrato da una selezione, una costruzione personale e astratta».
In questo consiste il suo sguardo di artista?
«La rappresentazione della forma e della realtà deve avvenire attraverso un progetto. Ciò che gli occhi vedono è una sintesi del progetto di conoscenza visiva. Il pittore guarda, mette insieme le cose, progetta e decide di afferrarle».
È difficile afferrare l’anima di chi ritrae?
«L’anima è un progetto del corpo nella fisionomia. È personale. Mi basta uno sguardo per cogliere la personalità di chi ho davanti. L’unica che non sono mai riuscito ad afferrare è mia moglie, che ho dipinto tutta la vita». Costanza dissente: «Non è vero. Mi ha saputo cogliere in ogni opera». Il maestro la guarda e sorride.
In città A Bergamo mi amano poco. Forse perché ho sempre qualcosa da ridire. Anche sui progetti che riguardano la nuova Carrara
Mario Donizetti