Da muratore a capo di 18 aziende «Ormai non c’è più niente da fare»
«Sono amareggiato, non voglio dire brutte parole, ma sono davvero amareggiato per come sono finite le cose». Non si sa quali siano le «brutte parole» che Giambattista Begnini vorrebbe usare ma si possono intuire. È arrivato a 67 anni dopo avere compiuto tutta la parabola: da muratore a Cologno a impresario, a Cavaliere al merito della Repubblica italiana, passando per una sfilza di presidenze e vicepresidenze di un gruppo che era arrivato a inanellare 18 aziende attive in una decina di ambiti diversi. Fino a ridiscendere: «Adesso? Non faccio niente, non c’è più niente da fare».
La sua prima impresa è degli anni Settanta, ma è nel 1980 che nasce la Costruzioni Begnini, in cui Giambattista è affiancato dal fratello Leone Giovanni. L’impresa costruisce prima palazzine, poi condomini, nel Milanese realizza complessi da 260 appartamenti. Trasforma cascine in ristoranti, le dà in gestione o se ne occupa in prima persone, rifonda quartieri interi come l’ex Magrini a Bergamo, e poi compera, ristruttura e rivende. Le aziende di costruzioni si moltiplicano: Artif, La Panda, Casteluovo, Bmr, Palestrina, spuntano e tramontano in pochi anni, spesso con sedi che non si allontanano molto dall’angolo tra la provinciale Francesca e la Cremasca. Begnini si affaccia nel confinante settore dei serramenti e poi sfonda nell’alberghiero, mettendo la sua firma nei Jolly hotel extralusso da Portofino a Fiesole, entra ed esce anche da Agronomia (insalate confezio- nate). Vede altri come lui, partiti dal basso, primeggiare in tanti settori diversi e ci prova. Il suo amico Ivan Ruggeri lo nomina vicepresidente dell’Atalanta oltre che socio nel Nuovo Giornale di Bergamo. Essere vice non gli basta, cerca la sua strada nello sport per quindici anni è presidente del Celana Basket, sfiora la A2 ma finisce con diventarne il liquidatore. Ci riprova con il Monza Calcio, cercando di portarlo in Serie B. Si fa fotografare mentre palleggia, corre con i giocatori sotto le tribune semivuote del Brianteo. Ma 5 milioni l’anno da spendere sono tanti, per una squadra che a un passo dalla promozione non porta allo stadio più di 395 spettatori. Cerca l’aiuto da imprenditori brianzoli per pagare la metà delle spese ma non li trova. E nel 2008 dovrà gettare la spugna. La crisi è alle porte, e taglia le gambe prima di tutto alle costruzioni.
È in questo periodo che Begnini finisce a processo con l’accusa di avere dato una tangente da 50 mila euro all’allora sindaco di Cassano per poter costruire il Park Hotel (viene condannato in primo grado a 2 anni e 2 mesi). «Tanti adesso mi dicono: ma perché non hai investito all’estero? — conclude lui —. Ma io sono nato qui, le mie aziende si sono sviluppate qui, e io ci tenevo a dare una mano al mio Paese. Ma è andata male».
Sono amareggiato, ho sempre voluto investire solo in Italia ma è andata male G. Battista Begnini