Appunti di viaggio
In libreria il long seller di Charles Burney Città Alta come Bristol, i rivoli e i suoni della natura
«Non appena entrati nello Stato Veneto, la strada si fece intollerabilmente aspra e sassosa e continuò così finché non entrammo a Bergamo. Ero tormentato dalla pleurite: le pietre sconnesse, il calesse cattivo e la furia del cocchiere mi avevano provocato trafitture e dolori tali da non poter quasi respirare. Tuttavia arrivati a Bergamo il calesse fu cambiato con un altro anche peggiore». Era il 25 luglio 1770, mercoledì, e così scriveva nel suo diario di viaggio Charles Burney.
Quel che segue è il racconto della sosta bergamasca di questo compositore e pioniere della storiografia musicale, nel suo «Viaggio musicale in Italia», long seller di nuovo in libreria curato da Enrico Fubini ed edito da EDT, 399 pagine che dimostrano come intento della sua General History of Music from the Earliest Ages to the presente Period (quattro tomi, 1776-89), fosse quello di superare le precedenti compilazioni erudite, motivo per il quale si era spinto sulle vie d’Europa — dalla Francia all’Italia, dalla Germania ai Paesi Bassi — a caccia di notizie introvabili nelle biblioteche di Londra. E, per quel che riguarda la nostra città, in assenza di notizie propriamente musicali, di riferimenti a maestri conterranei o a tradizioni (come quella organistica destinata di lì a poco a farsi conoscere), soccorrono qui vivaci osservazioni sull’ambiente che, quasi due secoli e mezzo dopo, mantengono la loro immediatezza.
«Durante il cambio del calesse e dei cavalli, passeggiai un po’ per la città. Le case sono molto alte e si direbbe che l’architettura in Italia rispecchi lo stesso gusto e la stessa armonia nelle proporzioni, che ha la musica: ogni colonna, ogni portale, ogni portico e colonnato ha in sé qualcosa che esprime grazia e leggerezza. Agli occhi di un inglese la bellezza delle finestre è guastata dalla mancanza di vetri, cosa che noi potremmo attribuire a povertà; ma nei paesi caldi, gli abitanti, siano ricchi o poveri, preferiscono la carta al vetro perché quest’ultimo, lasciando passare i raggi solari, rende il calore insopportabile».
E così continua il nostro attento viaggiatore dell’età dei Lumi. «Bergamo è una grande e bella città, divisa in città alta e città bassa. La parte alta ricorda Clifton presso Bristol; è costruita su una collina e la campagna circostante è popolata di belle ville con suggestivi scorci panoramici». Mentre in un altro passaggio eccolo dilungarsi sulla campagna orobica circostante e i corsi d’acqua — anche piccoli — sempre valorizzati. «Si direbbe che alla campagna non manchi che l’acqua e vi si provvede con accorgimenti che mi divertirono molto nonostante le cattive strade e le cattive carrozze: ogni ruscello veniva diviso in cento rivoletti e canaletti che portavano, non saprei dire come, in altrettante direzioni diverse».
Piccola divagazione («I ragazzi e le ragazze che vidi per le strade di Bergamo — quelli che non erano abbronzati dal sole — erano molto belli») ed ecco Burney tornare sulla campagna osservata nella prosecuzione del viaggio verso Venezia. «Tra Bergamo e Brescia la campagna è gradevole e ben coltivata, anche se non è ricca come quella del milanese. Sulla sinistra sorge una fertilissima collina e sulla sua sommità c’è un convento da cui si gode una vista stupenda. La strada che era triste e chiusa, si apre d’improvviso a Palazzolo, su un’incantevole vallata, coperta di vigneti, che ha l’aspetto di un giardino».
All’improvviso, però, un temporalaccio estivo. O qualcosa di più. «…Il tempo si fece così brutto che non si poteva vedere quasi nulla. Avvicinandoci a Brescia fummo colti da una pioggia violenta […] come non mi era mai accaduto di vedere stando all’aperto». Il racconto prosegue con i cavalli tremanti, le criniere irte come gli aculei di un porcospino irritato: «Sembravano inchiodati dalla paura, e non si potevano smuovere né con la frusta, né con gli speroni, né con la gentilezza, finché i tuoni e i lampi non si calmarono».
Insomma suoni sì, ma della natura. E il grande Burney, vicino allo spirito dei «philosophes» e degno rappresentante della generazione di Johnson, Reynolds, Burke, sempre più attirato dal paesaggio geografico e umano che dalla musica.
La campagna è popolata di belle ville con scorci suggestivi. Manca solo l’acqua: vi si provvede con ruscelli che si dividono in mille rivoli