Quando Arlecchino parlò in dialetto a Luigi XV
Ai comici non era permesso usare il francese, lui si rivolse a Sua Maestà in bergamasco
Dopo la sosta bergamasca, Charles Burney, il 28 luglio 1770 è a Verona e viene accompagnato all’Arena . Entrato nell’anfiteatro ricorda sul diario: «Ebbi l’ impressione che l’avessero di nuovo preparato a uno scopo somigliante, poiché i ruggiti e il rumore che colpirono il mio udito, sembrava non avessero niente di umano». Poi la sorpresa: «A un tratto, avanzando di qualche passo, trovai che si trattava solo di Pantalone e Brighella ingannati e picchiati da Arlecchino. Veramente, lo spirito di messere Arlecchino, verso notte, ha una gran potenza: mi pare ch’esso contribuisca assai più degli elefanti, delle tigri e dei leoni del tempo antico , al divertimento degli spettatori...». E via dicendo sulla perfezione comica e il genuino carattere della maschera.
Ad Arlecchino, per la verità, il diario rimanda — e con un cenno — anche nella sosta bergamasca . «Alla Commedia italiana di Parigi, Arlecchino ripete sempre che viene da Bergamo, e quando Riccoboni giunse per la prima volta a Parigi dall’Italia parlò in bergamasco poiché a nessun attore comico era permesso di parlare il francese», osserva Burney a proposito del commediografo. Aggiungendo: «Finché un giorno a Luigi XV, che aveva mandato a chiamare Arlecchino per dargli alcuni ordini a proposito di una commedia italiana che doveva essere rappresentata a corte, fu risposto in dialetto bergamasco. Perché — gli chiese Sua Maestà — mi rivolgete la parola in questo gergo? Perché non parlate francese? Sire — disse Arlecchino — voilà tout ce qui faut. E poiché ne aveva avuto l’ordine dal re, corse al teatro e disse all’impresario che d’ora innanzi aveva l’ordine, de par le Roi, di parlare in francese».
Poco dopo Burney si ferma sull’etimologia di Arlecchino riprendendo la tesi del letterato Gilles Ménage che la faceva derivare «da un famoso comico italiano giunto a Parigi al tempo di Enrico III» e che «poiché assai benvoluto dal grande presidente Harlay si trovò affibbiato il nome di Harliquino, o piccolo Harlay». Un’ipotesi che pare troppo fantasiosa. Specie se si pensa che Herlequin o Hallequin era il folletto, guida di spiriti nella tradizione delle favole medievali francesi ,e che, ancor prima probabilmente, è di origine germanica, risalendo già al Mille: appunto da Hšlle Kšnig, re dell’inferno, traslato in Helleking, poi in Harlequin.