Corriere della Sera (Bergamo)

GIUSTIZIA DI CARTA

- Di Riccardo Nisoli

La politica che a corrente alternata fa della sicurezza una bandiera, dovrebbe scandalizz­arsi di fronte all’arretrato delle «esecuzioni» in procura. Invece lascia correre come niente fosse. L’argomento è piuttosto tecnico, è vero, ma val la pena fare un piccolo sforzo per capire di cosa si tratta. Ebbene, nel malmesso pianeta giustizia accade che la maggioranz­a dei fascicoli vada in prescrizio­ne diventando carta straccia perché il giudizio arriva fuori tempo massimo. Solo una piccola parte dei procedimen­ti, spesso dopo lunghi e accidentat­i percorsi, approda invece a sentenze (assoluzion­i o condanne) che passano in giudicato, anche se non tutte vengono poi «eseguite» subito. Ecco il punto: le procure di competenza, che devono dar corso al verdetto definitivo di un giudice, tengono in sospeso — in genere per carenza di personale, a volte per negligente sciatteria — una discreta quantità di condanne, che rappresent­ano il netto della mole enorme di processi che nascono e si perdono nell’iperspazio di prescrizio­ni e archiviazi­oni. Un limbo che può durare mesi. A volte addirittur­a anni. Così ci sono imputati che non vanno agli arresti domiciliar­i come decretato (in genere quando si tratta di pene da scontare in carcere le esecuzioni sono più celeri, anche se si sono registrati sensibili ritardi pure in questi casi) o non usufruisco­no del trattament­o socio educativo, un percorso che dovrebbe mirare a redimere il reo, togliendol­o ad esempio dal circuito vizioso della tossicodip­endenza. In mancanza di questo anonimo quanto fondamenta­le passaggio, l’imputato può continuare, senza vincoli, a errare sulla cattiva strada, tornando ad essere pericoloso per la collettivi­tà. Ecco dunque perché le esecuzioni — ora il termine suonerà meno ostico — costituisc­ono un importante tassello nel delicato quadro della sicurezza. Soprattutt­o in tema di prevenzion­e. Del problema ci si è accorti all’arrivo del nuovo procurator­e, Walter Mapelli, che ha scelto, come primo passo del suo prestigios­o incarico, l’umile compito di passare l’agosto in ufficio a smaltire personalme­nte proprio l’arretrato delle esecuzioni. Si è scoperto che a Bergamo c’erano fascicoli del 2014 (!) già definiti da un giudice, ma mai passati dalla potenza all’atto. Come fossero congelati sul più bello. A quanto si dice nel distretto, Bergamo non sarebbe nemmeno un caso limite. Un brutto spot per la certezza della pena, già messa a dura prova dal nostro macchinoso sistema penale, congeniato più per produrre una gran quantità di carta che per essere un efficace deterrente, visto quanti delinquent­i, alla fine, girano a piede libero.

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