GIUSTIZIA DI CARTA
La politica che a corrente alternata fa della sicurezza una bandiera, dovrebbe scandalizzarsi di fronte all’arretrato delle «esecuzioni» in procura. Invece lascia correre come niente fosse. L’argomento è piuttosto tecnico, è vero, ma val la pena fare un piccolo sforzo per capire di cosa si tratta. Ebbene, nel malmesso pianeta giustizia accade che la maggioranza dei fascicoli vada in prescrizione diventando carta straccia perché il giudizio arriva fuori tempo massimo. Solo una piccola parte dei procedimenti, spesso dopo lunghi e accidentati percorsi, approda invece a sentenze (assoluzioni o condanne) che passano in giudicato, anche se non tutte vengono poi «eseguite» subito. Ecco il punto: le procure di competenza, che devono dar corso al verdetto definitivo di un giudice, tengono in sospeso — in genere per carenza di personale, a volte per negligente sciatteria — una discreta quantità di condanne, che rappresentano il netto della mole enorme di processi che nascono e si perdono nell’iperspazio di prescrizioni e archiviazioni. Un limbo che può durare mesi. A volte addirittura anni. Così ci sono imputati che non vanno agli arresti domiciliari come decretato (in genere quando si tratta di pene da scontare in carcere le esecuzioni sono più celeri, anche se si sono registrati sensibili ritardi pure in questi casi) o non usufruiscono del trattamento socio educativo, un percorso che dovrebbe mirare a redimere il reo, togliendolo ad esempio dal circuito vizioso della tossicodipendenza. In mancanza di questo anonimo quanto fondamentale passaggio, l’imputato può continuare, senza vincoli, a errare sulla cattiva strada, tornando ad essere pericoloso per la collettività. Ecco dunque perché le esecuzioni — ora il termine suonerà meno ostico — costituiscono un importante tassello nel delicato quadro della sicurezza. Soprattutto in tema di prevenzione. Del problema ci si è accorti all’arrivo del nuovo procuratore, Walter Mapelli, che ha scelto, come primo passo del suo prestigioso incarico, l’umile compito di passare l’agosto in ufficio a smaltire personalmente proprio l’arretrato delle esecuzioni. Si è scoperto che a Bergamo c’erano fascicoli del 2014 (!) già definiti da un giudice, ma mai passati dalla potenza all’atto. Come fossero congelati sul più bello. A quanto si dice nel distretto, Bergamo non sarebbe nemmeno un caso limite. Un brutto spot per la certezza della pena, già messa a dura prova dal nostro macchinoso sistema penale, congeniato più per produrre una gran quantità di carta che per essere un efficace deterrente, visto quanti delinquenti, alla fine, girano a piede libero.