La lirica decolla Il Donizetti come l’aeroporto
La prima Un successo la Rosmonda d’Inghilterra
Fuori dallo teatro cittadino la riproduzione di una pista di volo (Sergio Agazzi/fotogramma). All’interno, il «decollo» del neonato festival Donizetti Opera, con tanto di cioccolatini e confetti ad hoc per il battesimo dell’aria lirica donizettiana.
In scena Rosmonda d’Inghilterra. Ed è scroscio di applausi per la versione fiorentina del 1834 del raro titolo donizettiano prodotto per la prima volta in tempi moderni. Si abbassano le luci. Il maestro Sebastiano Rolli non guarda lo spartito, lo conosce a memoria e dirige magistralmente l’orchestra Donizetti. Tra le fila dei musicisti anche la Filarmonica del Festival pianistico internazionale BresciaBergamo. Non una sbavatura melodica sin dal primo attacco maestoso. Il melodramma si focalizza sui personaggi di cui il compositore indaga la psicologia, tanto da scegliere arie a due e non duetti per enfatizzare il dramma. Ma l’abbandono melodico sublima il sentimento. Il peso delle passioni e il finale senza redenzione sono sollevati dalla bellezza del canto romantico. Così anche il dramma diventa poesia, sublimato dalla cifra stilistica del bel canto, con voci d’eccezione. Rosmonda, interpretata dal soprano Jessica Prat ha voce cristallina e sublime, soprattutto nel duetto con il padre Clifford, interpretato da Nicola Ulivieri, dal timbro pieno e di spessore, e con il tenore Dario Schmunck, nel ruolo di Enrico. Non è da meno Eva Mei, nei panni di Leonora: elegante nei gesti e nella voce. Ogni interprete ha vocalità perfetta, che fende l’oscurità della messinscena. La scelta registica di Paola Rota, che risente degli insegnamenti di Luca Ronconi, lascia parlare il testo, la musica. Ecco che la scenografia è fatta di diversi quadri scenici, neri, spogli, se non per la presenza di sedie in velluto. In ogni stanza, che si alterna, ricreata dallo spostamento delle quinte teatrali, si consuma la storia dei personaggi. Ciascuno riflette lungo le pareti a specchio i propri martiri, i lamenti e i sospiri perché per loro la vita è un labirinto senza via di fuga. A osservarne le gesta il coro, vestito di nero, con maschere che ne annientano la fisionomia, per rendere impassibile il volto di chi, come servo o nobile di corte, osserva, ascolta o meglio origlia. Solo quando tutti i personaggi si incontrano nello stesso ambiente le pareti dell’immaginario castello si aprono. Come la storia. L’inganno del sovrano Enrico II si smaterializza: Rosmonda, conosciutane la vera identità, non vorrà più esserne l’amata. Accetta l’invito del padre di fuggire e sposarsi con il paggio Arturo. Ma il disegno, architettato da Leonora, e scoperto dal re, non si compie. E la sovrana, consumata dall’offesa, accecata dal delirio, trafigge Rosmonda con il pugnale. Di sfondo regna la vendetta. Il silenzio. E nello spazio nero, l’eco di una musica immortale.
La prima Impeccabile la direzione del maestro Sebastiano Rolli, mai gli occhi sullo spartito