Alla Buca del Corno il diavolo che divora le anime
L’installazione di Ivano Parolini alla Buca del Corno di Entratico
Luci del Paradiso, fiamme dell’Inferno. Alla Buca del Corno di Entratico c’è un mostro che divora le anime dannate. È l’installazione dell’artista bergamasco Ivano Parolini, che ha esposto i suoi lavori in diverse città italiane ed europee, come Londra, Milano, Venezia, Firenze. La rappresentazione è il completamento e l’antitesi di un’altra realizzata il 5 novembre alla Basilica di Santa Maria Assunta di Gandino. L’«Inferno» sarà visitabile oggi e domani dalle 9.30 alle 12 e dalle 14 alle 16. «Se a Gandino è stato celebrato il Paradiso — ricorda Parolini —, ora qui la riflessione si sposta sul ritrovamento di coloro che, dopo la morte, non hanno ricevuto la salvezza».
Nella basilica gandinese, lo scorso 5 novembre, l’artista aveva disposto un tappeto di foglie secche, ceri accesi e una ventina di palloncini bianchi, con una luce bianca all’interno. Rappresentavano la mortalità delle anime, in cammino verso l’aldilà. Ora non ci sono più anime candide, ma dannati, e ad attenderli c’è la personificazione del demonio. Parolini ha creato una scultura combinando le ossa di diversi animali. «Il mostro — spiega — trova molteplici riferimenti iconografici nell’opera letteraria di Dante, in quella pittorica di Giotto, nella cappella degli Scrovegni, come pure nella mitologia classica».
La collocazione della scultura in questa grotta non è casuale. La Buca del Corno si è formata in tempi preistorici e nell’età del Rame era usata come sepolcro. Gli scavi hanno portato alla luce frammenti ceramici, cuspidi di freccia in selce, accette in pietra, una collana con anellini di calcite. E numerosi resti umani.
Ma anche senza ossa, l’atmosfera all’ingresso della grotta è suggestiva, resa surreale da un sottofondo musicale che accoglie i visitatori, come accadeva alla Basilica di Gandino. Se, però, in Val Seriana si innalzavano brani di musica classica, ora ci sono scoppi di temporali, scricchiolii sinistri, rumori inquietanti. Si distinguono le urla di maiali prima del macello. Urla che arrivano dal vissuto dell’artista, che ha avuto direttamente questa esperienza per lavoro.
I temi della morte, dell’inquietudine e dei mostri che si nascondono dentro di noi sono cari a Parolini. Non mancavano neanche nell’installazione nella Basilica. Lì erano presenti nel quadro dipinto dall’artista per l’occasione, che raffigurava Cristo, ritratto con drammatico realismo, nel momento della morte. Ora, come scrive il critico Sandra Nava, i due momenti scenici sono «irreversibilmente opposti: là un Crocifisso, pala d’intensa emotività pittorica in cui tutto può sublimarsi, qui la demoniaca presenza del male nell’assemblage di una messa in scena di un’eterna condanna».
Addentrandosi nella grotta, si trovano i palloncini rossi — le anime infernali — sospesi a mezz’aria o trascinati da un rigagnolo. Si muovono debolmente. Sembra che stiano nuotando, che stiano camminando con incertezza, forse scappando.
E infine, ecco la scultura. Ha un’apertura alare di 8 metri, due metri e mezzo di altezza e misura 5 metri dalla testa alla coda. Fatta con ossa di toro, cavallo, capra, cinghiale, muflone, struzzo, asino, pecora. Il mostro ha tre teste, le fauci spalancati, la schiena incurvata e una lunga coda serpentina. Parolini l’ha chiamato «Trichierotauro», dove «Tri» sta per «trino» in riferimento alle tre teste, «chiero da «chierottero», il nome scientifico dei pipistrelli e «tauro», perché la scultura è costituita principalmente da ossa di toro.
«Nessun animale — ci tiene a specificare l’artista — è stato soppresso con lo scopo di completarla. Sono ossa di recupero, pulite e levigate». In ogni caso, danno la sensazione che la creatura sia viva e che possa spiccare il volo.