Corriere della Sera (Bergamo)

Il dramma di Ebrahima, morto all’ex Gres

Il corpo è di un profugo di 23 anni ex ospite del centro di Cene

- di Fabio Paravisi

Una vasca piena di fango in una fabbrica abbandonat­a: è stata questa la fine del cammino lungo 8 mila chilometri di un ragazzo gambiano. Si chiamava Ebrahima Jadama e aveva 23 anni il giovane trovato morto la scorsa settimana nell’ex Gres di Bergamo. Era un profugo: partito dopo la morte del padre, era arrivato in Italia lo scorso anno e in ottobre era stato portato alla struttura d’accoglienz­a di Cene. Mentre ancora la sua richiesta d’asilo era in lista d’attesa, aveva cominciato a trascorrer­e sempre più tempo a Bergamo, dove era stato scoperto con della droga e denunciato per spaccio. Aveva così perso il diritto all’accoglienz­a. La legge prevede l’espulsione ma non spiega cosa possa fare il migrante e con che mezzi. Ebrahima era sparito chissà dove. Fino ad essere trovato a faccia in giù in quella vasca.

Le ragioni Per due volte il ragazzo è stato trovato con addosso della droga ed è stato denunciato

Tra Njaba Kunda, Gambia, e Cene, Italia, ci sono 5.598 chilometri. Se li fai in autostrada; perché se invece devi arrampicar­ti attraverso il deserto, salire fino alla Libia, sbarcare a Lampedusa, essere trasferito a Bresso e da lì essere portato a Cene, allora i chilometri sono ottomila e la fatica è di quelle che ti stroncano. E la destinazio­ne finale può essere una vasca di fango in una fabbrica abbandonat­a, dove chi ti vede da lontano ti scambia per «un sacco nero». Invece eri un ragazzo di 23 anni, e quegli ottomila chilometri li avevi fatti per cercare un futuro diverso da una morte ancora piena di mistero.

Si chiamava Ebrahima Jadama il ragazzo trovato venerdì scorso nell’ex Gres, a Bergamo. L’autopsia disposta dal pm Lucia Trigilio sarà effettuata domani e quindi non si conoscono ancora le cause del decesso, anche se pare non siano state notate lesioni.

Ebrahima era partito da Njaba Kunda, villaggio con 2.010 abitanti, due moschee e un ospedale sulla terra sabbiosa fra il confine del Senegal e il fiume Gambia. Il padre di Ebrahima muore, le possibilit­à di mantenere madre e fratelli sono scarse, il ragazzo guarda verso nord e si mette in marcia.

Il 25 ottobre di un anno fa Ebrahima è in fila per salire su autobus al Centro di smistament­o profughi di Bresso: porterà lui e altri 58 migranti alla comunità d’accoglienz­a. In serata sbarcano a Cene, dove la parrocchia ha messo a disposizio­ne una ex colonia sul Monte Bue. Tra loro c’è un ventenne gambiano che racconta al Corriere: «In Libia mi hanno venduto e chiuso in una prigione per tre mesi. Ci picchiavan­o tutte le mattine».

Il Comune in cui la Lega governa dal 1990 non la prende bene. Il primo cittadino Giorgio Valoti fa mettere sul tabellone luminoso la scritta: «Il sindaco avvisa che senza essere informato preventiva­mente sono stati collocati 59 cittadini stranieri nella colonia del Monte Bue». Poi protesta in prefettura e in curia, chiede di lasciare lo spazio ai terremotat­i e pretende un’ispezione dei vigili del fuoco. «E non ne ho più saputo niente», dice ora. Ma ammette: «I profughi non sembra abbiano dato problemi».

Ebrahima cerca di ambientars­i: «Era sicuro di sé — racconta chi lo ha conosciuto —. Quando discuteva difendeva il suo punto di vista». Si mette in lista con la commission­e per le richieste d’asilo politico, segue i corsi d’italiano e le attività interne ma non partecipa alle opere di volontaria­to. Un po’ alla volta, però, comincia a trascorrer­e sempre più tempo fuori dal centro: «Gli dicevamo di stare attento a non finire in brutti giri». E non avevano torto: una volta la polizia e un’altra i vigili di Bergamo gli trovano in tasca della droga e lo denunciano per spaccio. In luglio la segnalazio­ne della polizia locale arriva in prefettura, e alla comunità viene comunicato che sono venuti meno i termini per il diritto di accoglienz­a. Cogliendo di sorpresa gli operatori. «Lui poi ci ha detto che era poca roba, per uso personale», raccontano. Il 20 luglio, proprio nei giorni in cui qualcuno scrive «Negri raus» sui muri dell’ex colonia, Ebrahima viene accompagna­to alla caserma dei carabinier­i per le pratiche e poi messo sulla strada con i pochi soldi raccolti nei mesi prima. «Succede così anche con i diniegati, che si vedono rifiutato il diritto d’asilo — continua l’operatore —. La legge dice che vanno messi fuori dalla comunità e devono tornare al loro Paese. Ma restano in giro e devono arrangiars­i».

Ebrahima sparisce in un buco nero: chissà dove va, come campa e come mai si aggirava tra le buie spelonche di mattoni della fabbrica abbandonat­a prima di piombare in quella vasca. Un agente di polizia lo riconosce, e l’identifica­zione viene accertata dalla comparazio­ne delle impronte digitali con quelle rilevate al momento della denuncia. E gli ottomila chilometri della strada di Ebrahima si fermano lì.

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Il corpo del giovane era stato ritrovato all’ex Gres
 ??  ?? Ritrovamen­to Una pattuglia delle Volanti della polizia esce dal complesso dell’ex Gres di via San Bernardino a Bergamo dopo i rilievi nel punto in cui è stato trovato il corpo del gambiano
Ritrovamen­to Una pattuglia delle Volanti della polizia esce dal complesso dell’ex Gres di via San Bernardino a Bergamo dopo i rilievi nel punto in cui è stato trovato il corpo del gambiano

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