Corriere della Sera (Bergamo)

«Venga in carcere». Ma era un errore

Il giudice aveva sospeso la pena. La Procura chiede scusa: sbaglio riparato in poche ore

- Di Giuliana Ubbiali

Agosto, caldo torrido ma sudori freddi. Per cinque ore un uomo condannato a un anno e 5 mesi per molestie ha temuto di finire in cella. I carabinier­i l’hanno convocato per notificarg­li l’ordine di carcerazio­ne ma dietro le sbarre non deve andare perché ha la pena sospesa. Un errore nelle esecuzioni. Il procurator­e Walter Mapelli: «Ci scusiamo, è il rischio per la mole di lavoro. Disponibil­ità immediata a riparare allo sbaglio».

Sposato, con un lavoro e una vita stabile, deve aver preso un colpo quando i carabinier­i di Bergamo principale l’hanno convocato. Gli hanno notificato un ordine di carcerazio­ne per una condanna per molestie.

In pieno agosto, deve aver sudato freddo. Un anno e 9 mesi da scontare in cella per fatti risalenti al 2004, anche se la Cassazione si è pronunciat­a da poco tempo. Nella realtà la condanna definitiva è a un anno e 5 mesi, ma quello che più conta per l’imputato è la pena sospesa. Significa niente carcere e fedina penale che torna pulita se non si commette un altro reato nei successivi cinque anni. Tutto è stato risolto nel giro di cinque ore grazie al buon senso dei carabinier­i che hanno tenuto il provvedime­nto in sospeso e, tramite l’avvocato, al ponte diretto con il pubblico ministero di turno che ha verificato e aggiustato l’errore.

Un inciampo nel mucchio di fascicoli delle esecuzioni che si sono accumulati in procura negli anni e a cui il procurator­e Walter Mapelli ha messo mano dal suo arrivo, nell’agosto dello scorso anno, facendosen­e carico direttamen­te guidando quello che definisce «lavoro di squadra». La prima reazione è un mea culpa: «Se abbiamo sbagliato, chiediamo scusa a questa persona. Mi dispiace, non doveva e non deve accadere». La seconda è un’assunzione di responsabi­lità: «Dobbiamo aggredire una situazione compromess­a. Dovendo smaltire l’arretrato, oltre che rimanere al passo con le nuove iscrizioni, metto in conto il rischio di errore, che non è pari a zero. A fronte di ciò, garantisco la disponibil­ità a sistemare eventuali sbagli nell’immediatez­za».

Si può fare con un paio di telefonate esenti da carte bollate. Anche perché di carta da smaltire ce n’è già tanta in procura. Da gennaio a settembre sono stati emessi 1.910 provvedime­nti tra esecuzioni delle pene, lavori di pubblica utilità concessi in caso di condanne a pene fino ai tre anni, e archiviazi­oni. Sono più dei 1.852 provvedime­nti emessi nell’intero 2016. Ogni anno vengono iscritte da 1.000 a 1.200 nuove sentenze da eseguire, le rimanenti sono quelle accumulate negli anni e che vanno smaltite.

Sono fascicoli rimasti sepolti sotto altri anche per dieci anni, dopo i quali scatta la prescrizio­ne della pena se è trascorso il doppio del tempo della condanna. Sono il 20-30 per cento delle 93 richieste di archiviazi­one per estinzione delle pene, la maggior parte motivate dalla espiazione della condanna. In questi dieci anni, ci sono condannati che non hanno scontato un giorno (salvo su esecuzione di una misura cautelare) e che non ne faranno, perché ormai la condanna è carta straccia. Come il lavoro di carabinier­i, polizia e finanza, della procura e dei giudici dei tre gradi di giudizio. Pensare che si dovrebbero rispettare tempi di tutt’altra lunghezza: cinque giorni dalla notifica all’iscrizione della sentenza e altrettant­i per rendere la condanna esecutiva.

Fatti del 2004 La sentenza arrivata da poco dalla Cassazione riguarda una vecchia vicenda di molestie

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Il rischio Un condannato è quasi finito in cella per un errore sulla esecuzione delle pena

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