IL RISULTATO INATTESO
Ci sono architetture, come Palazzo della Libertà, che sono predestinate ad essere monumenti. Questa sorte particolare, come argomentava Aldo Rossi ne «L’architettura della città», è dovuta al carattere permanente e vitale che appartiene a certi edifici. Sono architetture che attraversano i decenni e segnano l’immagine della città, si integrano allo spazio aperto dell’intorno e hanno un valore costitutivo che discende dalla storia, dall’arte, dalla memoria che le permea. Sono organismi di pietra che mostrano anche una capacità persistente di adattamento ai mutamenti e, per questo, pretendono di dialogare con la dinamica di trasformazione della città. L’edificio disegnato da Alziro Bergonzo nel Ventennio ha avuto un passato segnato da mutamenti e alterne vicende, fino a scivolare negli ultimi decenni nella sorda condizione di ermetico contenitore di apparati pubblici, con il solo Auditorium a rimarcarne l’attitudine di «bene comune». L’accordo raggiunto in questi giorni dall’Amministrazione Comunale per utilizzare gli spazi del piano terra con un mix di funzioni pubbliche apre una strada per la rigenerazione di questa architettura di valore urbano. Questa prospettiva concreta ha raccolto e sviluppato l’input dato da «Visioni Possibili» — la proposta elaborata nel 2016 da Italia Nostra e dal Coordinamento dei Comitati di Quartiere — arrivando a un risultato inatteso che potrebbe permettere al Palazzo della Libertà di svolgere nei prossimi trent’anni un ruolo coerente con la sua inequivocabile natura di monumento.