Gasperini, allenatore fuori dal coro È il mio benemerito
Caro Gasperini, io non sono un sindaco e nemmeno uno dei suoi consiglieri a libro paga, per cui non ho materialmente il potere di assegnarle una benemerenza ufficiale. Loro, a Palazzo Frizzoni, preferiscono darla al Papu Gomez, anche se magari fra due o sei mesi si sarà già dimenticato di Bergamo.
Per quanto mi riguarda, per quel che vale, io non ho dubbi: tra i benemeriti di questa terra ci deve essere lei. Certo per le belle imprese di questo 2017, ma soprattutto per motivi molto più alti e più seri. Per il suo modo di essere, direi riassumendo. Non sto a definirla santo o eroe: siamo tutti peccatori (l’unico che faceva eccezione l’abbiamo inchiodato alla croce in quattro e quattr’otto). Però ci sono scelte, fatti, idee che la rendono un vero patrimonio per la nostra provincia. Una fortuna capitata qui all’improvviso, due anni fa, e che faremo bene a valutare fino in fondo. Oltre ai punti in classifica, oltre al divertimento in campo, oltre ai viaggi in Europa. Intendo il resto. È di questi giorni il riferimento diretto al suo nome della commissione parlamentare sulle infiltrazioni mafiose, ma in modo ammirato, come eccezione in un contesto molto preoccupante. Ricordo benissimo la questione, me ne sono occupato a suo tempo per il Corriere: messo sotto minaccia dagli sgherri ultrà del Genoa, lei non esitò a fare nomi e cognomi, a dire pane al pane e vino al vino. So che questo le costò un clima a dir poco ostile, ma non la convinse a piegarsi. Però, che allenatore a schiena dritta, mi dissi e scrissi. Una mosca bianca, o una pecora nera, nell’ambiente dei cuordileone ruffiani che lisciano sempre il pelo ai violenti, per assicurarsi vita tranquilla e sponde favorevoli in curva.
E proprio questa faccenda mi è tornata subito alla memoria l’altro giorno, dopo la partita di Coppa Italia col Sassuolo. A domanda sul perché non si veda mai in campo questo e quello, lei non ha risposto con la litania banale e pelosa del tipo per me sono tutti titolari, prima o poi verrà il momento per tutti, eccetera eccetera. Senza problemi, ha spiattellato la sua verità: lo dico da tempo, 26 giocatori sono troppi, a me non piace lavorare così, è una situazione che mi viene imposta e che devo subire. Sicuro, nel campionato in cui gli allenatori vorrebbero una rosa di ottanta giocatori, in cui si sono resi necessari limiti su numeri e composizione, proprio in questo ambiente bulimico Bergamo si ritrova un anticonformista che sogna il pochi ma buoni. Ancora una volta, il Gasp che non teme di esprimere le proprie opinioni, a busto eretto, a testa alta, senza calcoli di convenienza e comodi opportunismi. Una persona fuori dal coro, un uomo che ha idee sue, non necessariamente le stesse del branco. Un tizio del genere, io me lo tengo stretto. Come bergamasco, lo considero una vera fortuna. Da benemerenza pubblica e ufficiale, per il significato del suo esempio. Mi spiace, caro Gasp: avrei le migliori intenzioni, ma da parte mia non posso assegnarle che un semplice grazie.