I preti della Resistenza e della Repubblica di Salò
«Ho fatto il prete». Ma anche la Resistenza. E qualcuno anche il sostenitore della Repubblica di Salò. Barbara Curtarelli ha ricostruito le posizioni del clero bergamasco durante il periodo dell’occupazione tedesca. Una ricerca per molti versi inedita, con nomi di sacerdoti aderenti alla Rsi spesso rimossi.
Una lunga galleria di volti recuperati con le loro vicende. Quelle di tanti preti che, spinti più da motivazioni morali che politiche, s’impegnarono nella Resistenza bergamasca: fiancheggiandola, aiutando partigiani, prigionieri, antifascisti, ebrei, restando vicini alle sofferenze dei loro parrocchiani. Nomi tolti dall’oblìo che si affiancano a quelli noti di don Mario Benigni, don Antonio Crippa, don Bepo Vavassori, don Agostino Vismara, don Vigilio Teani, don Antonio Seghezzi. E con loro suore (quelle della Capitanio, le Poverelle, le Sacramentine, le Figlie del Sacro Cuore di Gesù, le Orsoline), e religiosi (i Domenicani di San Bartolomeo, i Sacramentini di Ponteranica, i Monfortani di Redona, i Passionisti della Basella, i Giuseppini, i Cappuccini). E poi sacerdoti extradiocesani, ex cappellani militari, preti insegnanti del calibro di don Bartolomeo Calzaferri (che rifiutò di giurare fedeltà alla repubblica fascista) e responsabili di oratori (come l’Immacolata a Bergamo o quello di Ponte San Pietro) da dove uscirono capi del movimento di Liberazione (Norberto Duzioni, Livio Mondini, Vincenzo Magni, Cristoforo Pezzini, Fortunato Fasana). Presbiteri e monache dalla parte dei resistenti con opzioni diverse. Chi con le armi, occultandole in canonica o distribuendole. Chi rifiutando ogni compromissione, fornendo informazioni utili o chiudendosi nel silenzio. Chi soccorrendo perseguitati e sbandati, offrendo viveri e ricoveri. Forme di Resistenza e di testimonianza cristiana. «Non ho fatto la Resistenza, ho fatto il prete» così disse, certo di aver fatto il suo dovere sacerdotale — come altri confratelli — don Alessandro Ceresoli (imprigionato nel ‘43, spedito in Germania e salvatosi per l’arrivo degli Alleati). E «Ho fatto il prete», è il titolo delle 500 pagine che Barbara Curtarelli ha dedicato al clero orobico dal settembre ‘43 all’aprile ‘45, edite dal Centro Studi Valle Imagna. Tasselli di una storia locale che fa passi avanti a 40 anni anni da «I cattolici di Bergamo nella Resistenza» di Giuseppe Belotti, e da «Preti bergamaschi nella Resistenza» dei seminatembre,
La ricerca di Barbara Curtarelli ricostruisce le posizioni del clero bergamasco durante l’occupazione tedesca citando i preti resistenti, ma anche quelli schierati dall’altra parte. Diversamente da tante opere, dove i loro nomi sono rimossi, il volume di Curtarelli indica almeno 11 sacerdoti che appoggiarono la repubblica di Salò. Sei dei quali cappellani militari: Giovanni Agazzi, Adolfo Speroni Adolfo, Giovanni Tamanza, Luigi Verdelli , Emilio Manenti, Francesco Caccia. Gli altri con responsabilità pastorali: Giovanni Antonietti, direttore della Casa dell’Orfano a Ponte Selva; Vittorio Belotti, parroco di Mezzoldo; Antonio Bombardieri, coadiutore a Cornalita; Giovanni Maria Donzelli, arciprete a San Martino de’ Calvi; Giovanni Sala, coadiutore a Gazzaniga. risti Giuliano Borlini, Giuseppe Brignoli e Pietro Zambelli, guidati da monsignor Roberto Amadei. Un lavoro che colma lacune e rilegge fatti come il martirio di don Seghezzi o l’assassinio di don Achille Bolis, il comportamento del vescovo Adriano Bernareggi («palesò evidenti limiti caratteriali che ne inficiarono l’azione pastorale», scrive la ricercatrice), o, dopo l’8 set- l’assenza di indirizzo generale da parte della curia (fatto che mise ogni sacerdote «nella posizione di dover agire secondo le proprie inclinazioni»). Tema centrale del libro (non senza una premessa sui preti bergamaschi già durante il fascismo negli Anni ‘20 e ‘30) sono però soprattutto i 20 mesi di occupazione tedesca. Tra ruberie e distruzioni, incendi e devastazioni. E «vittorie» partigiane purtroppo seguite da rastrellamenti e rappresaglie. Ed è la data dell’ 8 settembre ‘43 a fare da cesura storica con cui tenere distinti — anche sul piano metodologico — il periodo precedente e successivo (come osserva Antonio Carminati in una nota introduttiva). Non volendo continuare solo con i nomi, evidenziamo qualche numero. I sacerdoti diocesani ricordati perché inquisiti o vessati furono 71. L’autrice , pur sicura di una cifra maggiore, riporta qui tutti quelli di cui si è ritrovato il fascicolo nel fondo «Persone pericolose per la sicurezza nazionale» presso l’ Archivio di Stato e perseguitati dai fascisti per averne contrastato l’attività. Solo due i sacerdoti cappellani dei partigiani aggregati alle formazioni: don Giovanni Mangili e don Rocco Zambelli. Ed uno solo — don Antonio Milesi detto «Dami» — a capo di una formazione delle Fiamme Verdi in Val Brembana. Riferendo l’apporto complessivo dei sacerdoti che collaborarono con i patrioti (spesso costretti, in questo periodo, al ruolo di interlocutori con gli occupanti), Curtarelli indica un altro numero: 177, tra parroci, coadiutori, curati, cappellani. Undici, poi — dall’altra parte — i sacerdoti citati come fiancheggiatori del Regime: quelli che, dopo l’armistizio, non nascosero il loro appoggio alla Repubblica di Salò. Preceduti da due sacerdoti fanatici del fascismo a metà Anni Venti: don Vincenzo Micheletti e don Luigi Licini. «Questa ricerca può forse modificare la rappresentazione della Chiesa bergamasca durante il fascismo e la Resistenza, una Chiesa non solo in genere afascista, secondo la storiografia di Renato Moro, mutuata da mons. Roberto Amadei, ma in parte anche antifascista, anche se non per motivazioni politiche, ma, come si è detto, di fede», scrive Mauro Magistrati in apertura del libro.