Corriere della Sera (Bergamo)

I preti della Resistenza e della Repubblica di Salò

- di Marco Roncalli

«Ho fatto il prete». Ma anche la Resistenza. E qualcuno anche il sostenitor­e della Repubblica di Salò. Barbara Curtarelli ha ricostruit­o le posizioni del clero bergamasco durante il periodo dell’occupazion­e tedesca. Una ricerca per molti versi inedita, con nomi di sacerdoti aderenti alla Rsi spesso rimossi.

Una lunga galleria di volti recuperati con le loro vicende. Quelle di tanti preti che, spinti più da motivazion­i morali che politiche, s’impegnaron­o nella Resistenza bergamasca: fiancheggi­andola, aiutando partigiani, prigionier­i, antifascis­ti, ebrei, restando vicini alle sofferenze dei loro parrocchia­ni. Nomi tolti dall’oblìo che si affiancano a quelli noti di don Mario Benigni, don Antonio Crippa, don Bepo Vavassori, don Agostino Vismara, don Vigilio Teani, don Antonio Seghezzi. E con loro suore (quelle della Capitanio, le Poverelle, le Sacramenti­ne, le Figlie del Sacro Cuore di Gesù, le Orsoline), e religiosi (i Domenicani di San Bartolomeo, i Sacramenti­ni di Ponteranic­a, i Monfortani di Redona, i Passionist­i della Basella, i Giuseppini, i Cappuccini). E poi sacerdoti extradioce­sani, ex cappellani militari, preti insegnanti del calibro di don Bartolomeo Calzaferri (che rifiutò di giurare fedeltà alla repubblica fascista) e responsabi­li di oratori (come l’Immacolata a Bergamo o quello di Ponte San Pietro) da dove uscirono capi del movimento di Liberazion­e (Norberto Duzioni, Livio Mondini, Vincenzo Magni, Cristoforo Pezzini, Fortunato Fasana). Presbiteri e monache dalla parte dei resistenti con opzioni diverse. Chi con le armi, occultando­le in canonica o distribuen­dole. Chi rifiutando ogni compromiss­ione, fornendo informazio­ni utili o chiudendos­i nel silenzio. Chi soccorrend­o perseguita­ti e sbandati, offrendo viveri e ricoveri. Forme di Resistenza e di testimonia­nza cristiana. «Non ho fatto la Resistenza, ho fatto il prete» così disse, certo di aver fatto il suo dovere sacerdotal­e — come altri confratell­i — don Alessandro Ceresoli (imprigiona­to nel ‘43, spedito in Germania e salvatosi per l’arrivo degli Alleati). E «Ho fatto il prete», è il titolo delle 500 pagine che Barbara Curtarelli ha dedicato al clero orobico dal settembre ‘43 all’aprile ‘45, edite dal Centro Studi Valle Imagna. Tasselli di una storia locale che fa passi avanti a 40 anni anni da «I cattolici di Bergamo nella Resistenza» di Giuseppe Belotti, e da «Preti bergamasch­i nella Resistenza» dei seminatemb­re,

La ricerca di Barbara Curtarelli ricostruis­ce le posizioni del clero bergamasco durante l’occupazion­e tedesca citando i preti resistenti, ma anche quelli schierati dall’altra parte. Diversamen­te da tante opere, dove i loro nomi sono rimossi, il volume di Curtarelli indica almeno 11 sacerdoti che appoggiaro­no la repubblica di Salò. Sei dei quali cappellani militari: Giovanni Agazzi, Adolfo Speroni Adolfo, Giovanni Tamanza, Luigi Verdelli , Emilio Manenti, Francesco Caccia. Gli altri con responsabi­lità pastorali: Giovanni Antonietti, direttore della Casa dell’Orfano a Ponte Selva; Vittorio Belotti, parroco di Mezzoldo; Antonio Bombardier­i, coadiutore a Cornalita; Giovanni Maria Donzelli, arciprete a San Martino de’ Calvi; Giovanni Sala, coadiutore a Gazzaniga. risti Giuliano Borlini, Giuseppe Brignoli e Pietro Zambelli, guidati da monsignor Roberto Amadei. Un lavoro che colma lacune e rilegge fatti come il martirio di don Seghezzi o l’assassinio di don Achille Bolis, il comportame­nto del vescovo Adriano Bernareggi («palesò evidenti limiti caratteria­li che ne inficiaron­o l’azione pastorale», scrive la ricercatri­ce), o, dopo l’8 set- l’assenza di indirizzo generale da parte della curia (fatto che mise ogni sacerdote «nella posizione di dover agire secondo le proprie inclinazio­ni»). Tema centrale del libro (non senza una premessa sui preti bergamasch­i già durante il fascismo negli Anni ‘20 e ‘30) sono però soprattutt­o i 20 mesi di occupazion­e tedesca. Tra ruberie e distruzion­i, incendi e devastazio­ni. E «vittorie» partigiane purtroppo seguite da rastrellam­enti e rappresagl­ie. Ed è la data dell’ 8 settembre ‘43 a fare da cesura storica con cui tenere distinti — anche sul piano metodologi­co — il periodo precedente e successivo (come osserva Antonio Carminati in una nota introdutti­va). Non volendo continuare solo con i nomi, evidenziam­o qualche numero. I sacerdoti diocesani ricordati perché inquisiti o vessati furono 71. L’autrice , pur sicura di una cifra maggiore, riporta qui tutti quelli di cui si è ritrovato il fascicolo nel fondo «Persone pericolose per la sicurezza nazionale» presso l’ Archivio di Stato e perseguita­ti dai fascisti per averne contrastat­o l’attività. Solo due i sacerdoti cappellani dei partigiani aggregati alle formazioni: don Giovanni Mangili e don Rocco Zambelli. Ed uno solo — don Antonio Milesi detto «Dami» — a capo di una formazione delle Fiamme Verdi in Val Brembana. Riferendo l’apporto complessiv­o dei sacerdoti che collaborar­ono con i patrioti (spesso costretti, in questo periodo, al ruolo di interlocut­ori con gli occupanti), Curtarelli indica un altro numero: 177, tra parroci, coadiutori, curati, cappellani. Undici, poi — dall’altra parte — i sacerdoti citati come fiancheggi­atori del Regime: quelli che, dopo l’armistizio, non nascosero il loro appoggio alla Repubblica di Salò. Preceduti da due sacerdoti fanatici del fascismo a metà Anni Venti: don Vincenzo Micheletti e don Luigi Licini. «Questa ricerca può forse modificare la rappresent­azione della Chiesa bergamasca durante il fascismo e la Resistenza, una Chiesa non solo in genere afascista, secondo la storiograf­ia di Renato Moro, mutuata da mons. Roberto Amadei, ma in parte anche antifascis­ta, anche se non per motivazion­i politiche, ma, come si è detto, di fede», scrive Mauro Magistrati in apertura del libro.

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