Uccise un cane con la balestra, 10 mesi
Il giudice: 3 mila euro alla padrona e 500 all’Enpa. Lui: difendevo il mio agnellino
L’uccisione di un animale viene punita con condanne da 4 mesi a 2 anni. Lo sa bene un allevatore di Castione della Presolana che ha preso 10 mesi per la morte del cane della vicina. L’ha ucciso con il dardo di una balestra, è l’imputazione. Che, però, lui nega. Ha ammesso di averlo scagliato, ma per scacciare due randagi che avevano aggredito un agnellino appena nato e che stavano per sbranare la pecora.
Giovan Maria Savoldelli ha 50 anni ed è un pastore da quando ne aveva 10. A Castione della Presolana alleva pecore, anche le suffolk, una razza inglese pregiata. Giura che il 22 febbraio 2014 non uccise il cane della vicina. Voleva solo proteggere il suo gregge, dice, da due randagi. Ma è evidente dalla condanna a 10 mesi che il giudice Massimiliano Magliacani non gli ha creduto.
L’Ente nazionale per la protezione animale, parte civile, esulta per la sentenza. Ha ottenuto un risarcimento di 500 euro, simbolico. Tremila, invece, vanno alla proprietaria del cane, un pastore bergama- sco di 12 anni. L’imputato, assistito dall’avvocato Giovanni Ponte, è rimasto di sasso. La sua versione dei fatti è un’altra rispetto a quella dell’accusa (il fascicolo è del pm Letizia Ruggeri).
Non ha negato di aver lanciato un dardo contro un cane. L’ha ammesso, ma ha sostenuto di aver scacciato due randagi che stavano attaccando un agnellino appena nato e la pecora che lo aveva partorito. Se fosse stato il cane della vicina, che ha una cascina a 350 metri dalla sua, lo avrebbe riconosciuto, è la sua difesa. Invece l’accusa è che il pastore bergamasco della donna è tornato a casa ferito, con una freccia di otto centimetri conficcata, e poi è morto. Da qui l’imputazione di uccisione di animale, oltre che di utilizzo di arma impropria. Agli atti c’è il resoconto dell’esame di un animale. Che fosse quello della vicina lo dice solo lei, ha contestato l’avvocato Ponte.
Nulla da obiettare per il legale dell’Enpa Claudia Ricci. Anzi, la sentenza del giudice di Bergamo «è un pronunciamento importante, non solo per questo procedimento ma perché può diventare un precedente per altri casi simili. Che, purtroppo, sono molto più numerosi di quanto si possa immaginare».