Corriere della Sera (Bergamo)

Sosta e silenzio Con zero comunicazi­oni

- di Beppe Fumagalli

La vita continua. O almeno dovrebbe continuare. Il treno no. Parte da Lambrate, per qualche minuto procede a ritmo blando, avanza sempre più lento, dà una lunga sfiatata e poi s’accascia. D’andare avanti non vuol saperne. S’è piantato come un mulo e da mezz’ora non si muove più. Immobile nel buio, sfiorato da un’eco lontana del mondo. All’ora di cena s’è bloccato proprio lì, all’altezza dello scambio maledetto. In un luogo, che inevitabil­mente si fa tempo. Un foglio di calendario con la data del 25 gennaio. Le lancette che segnano le 7 del mattino. Una coltre di nebbia squarciata dal fragore del deragliame­nto. Il boato spaventoso dello schianto. Le urla dei vivi e il silenzio dei morti. Il treno è fermo, i minuti corrono. E intanto tutto tace. Come se la sosta fosse programmat­a. Comunicazi­oni zero. Dalla cabina nessuno spiega e nessuno si scusa per il disagio. Di solito basta molto meno. Dieci minuti e volano le prime imprecazio­ni. Questa volta no. Sembra di essere in biblioteca. Si avvertono i colpi di tosse. C’è chi tiene gli occhi sul telefonino e salta da un’applicazio­ne all’altra per avere le informazio­ni che qui nessuno gli dà. C’è chi spalanca quadernoni fitti d’appunti e si mette a studiare. C’è chi rimane col naso spiaccicat­o sul finestrino e guarda fuori come se la notte potesse restituire le immagini del disastro. «Il mio treno è passato un quarto d’ora prima», bisbiglia la donna che mi sta accanto, «chi lo sa, questione di millimetri, dieci chilometri in più di velocità, e magari sarebbe capitato a me e alle mie colleghe». Torna il silenzio. In un modo o nell’altro le tragedie appartengo­no a tutti. Tranne a chi le provoca.

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