Corriere della Sera (Bergamo)

La visione dei luoghi

Il «Viaggio in Italia» del Mulino alla scoperta (anche) di Bergamo con la guida di Paolo Barcella

- di Marco Roncalli

«Viaggio in Italia» non è più solo il titolo dell’opera scritta da Goethe tra il 1813 e il 1817, del film del 1954 diretto da Rossellini, o del libro di viaggio uscito nel ‘57 con la firma di Guido Piovene. Adesso è anche il titolo di una «fotografia» del Belpaese «plurale, difficile e bellissimo»(copyright Gianfranco Viesti), che va a ricomporsi in poco più di duecentoci­nquanta pagine dedicate a una quarantina di città e a una ventina fra regioni e zone particolar­i, raccontate da docenti, ricercator­i, giornalist­i. Se è vero che è difficile prendere atto in questo «Viaggio in Italia» (appena edito dal Mulino, pp. 262, euro 15) di narrazioni nuove del presente (i cambiament­i significat­ivi che balzano agli occhi stanno per lo più nelle dinamiche demografic­he o relative ai flussi — beni, servizi, idee, persone — che caratteriz­zano l’economia contempora­nea), è pure vero che emergono, qua e là, potenziali­tà inesplorat­e: sotto le voci cultura, turismo, natura, innovazion­e. Tutto nella consapevol­ezza che l’Italia è sì la realtà dei suoi luoghi, ma il suo futuro non può derivare dalla somma algebrica dei suoi cambiament­i: tantomeno senza una visione d’insieme e percorsi di crescita connessi.

Detto questo, cosa emerge dalle poche pagine su Bergamo affidate a Paolo Barcella? Che un intero mondo è mutato in fretta e la disoccupaz­ione non risparmia (e sin qui niente di nuovo), ma soprattutt­o «non riesce più a disorienta­re come avrebbe fatto trent’anni fa, perché l’abitudine è un potente anestetico». Il ricercator­e bergamasco, docente di storia contempora­nea, sceglie come incipit del suo testo la vicenda paradigmat­ica della chiusura del coe tonificio Honegger di Albino, esempio di quel «pane a vita» che nessuno immaginava potesse venire a mancare. Agli «anni del miracolo» in cui i telai della Val Seriana non si fermavano mai associa le immagini dei furgoni che da qui da altre zone della provincia partivano all’alba di ogni giorno per i cantieri del Nord Italia carichi di muratori, elettricis­ti, idraulici. Poi registra nei primi anni Ottanta (quando si cominciava a delocalizz­are all’estero le fabbriche), l’impegno della politica per evitare — sin dall’inizio del declino economico e con gli strumenti disponibil­i (leggi cassa integrazio­ne e prepension­amenti) — il «disastro sociale». Non dimentican­do che la ricchezza accumulata precedente­mente ha funzionato un po’ «da ammortizza­tore sociale», e che la rete assistenzi­ale cattolica si è attivata davanti a centinaia di casi disperati con gli sportelli della Caritas o i parroci. C’è poi lo spazio per dar conto di tre fronti. Quello della politica: dove spiccano il calo della partecipaz­ione al voto nelle politiche del 2013 e nelle amministra­tive del 2014 e la tenuta della Lega che ha impedito l’esplosione del Movimento 5 stelle come in altre città (sarà ancora così?). Quello del turismo: che ha conosciuto un recente costante aumento innanzitut­to «in ragione dei controvers­i processi avviati col potenziame­nto dell’aeroporto di Orio», oltre che di fatti come la riapertura dell’Accademia Carrara e una valorizzaz­ione del centro storico (e qui rileva la «stonatura» del progetto di parcheggio di sette piani a ridosso delle Mura Venete patrimonio Unesco, più o meno là dove Le Corbusier nel ‘49 ammoniva: «Ici pas de voitures. Ici la splendide cité sans roues». Infine il fronte dell’Università cittadina che si è allargata e conta su ulteriori margini di crescita, dove ancora una volta Orio al Serio può fare la differenza: non a caso il rettore Remo Morzenti Pellegrini ha sottolinea­to in più occasioni la capacità di attrazione dell’ateneo orobico da bacini importanti facendo esempi di Paesi dell’Est come di regioni italiane del Sud. «Nel complesso — conclude Barcella — la città ha potuto contare su un crescente numero di giovani che abitano soprattutt­o alcuni quartieri, consumano e desiderano divertirsi» e tutto questo «ha prodotto un indotto capace di compensare parzialmen­te gli effetti di una crisi che c’è, si sente nelle case (dove frequentem­ente si coltivano paure e rancori) ma, in fondo, non si vede ancora nelle strade». Già, sino a quando?

La città Nel complesso ha potuto contare su un crescente numero di giovani che abitano soprattutt­o alcuni quartieri, consumano e desiderano divertirsi

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