Il phone center d’oro, la droga e l’ombra del terrorismo
Narcotraffico, 3 in cella. A Capriate l’incrocio con l’indagine Hawala sul riciclaggio
Aconclusione di un’indagine della finanza, sono stati portati in carcere per traffico di droga due marocchini e un albanese. Altre due persone sono irreperibili. Avrebbero gestito grosse spedizioni di hashish che partivano dal Marocco e, passando dalla Spagna, arrivavano in provincia di Bergamo. Nel 2016 l’indagine aveva incrociato quella della Procura di Milano su un presunto giro di denaro riciclato tramite il sistema hawala. Per un periodo c’era stato anche il sospetto di una rete collegata con l’Isis. Nel mirino, un phone center di Carpiate San Gervasio, il cui titolare è finito in cella a novembre 2017.
Il punto di partenza è quasi agli antipodi. Per i finanzieri di Bergamo è un piccolo sequestro di droga. Uno dei tanti, all’apparenza. Per quelli di Milano un libico bloccato all’aeroporto di Linate con 297 mila euro in contanti. Il primo ha dato origine a un’indagine per traffico di sostanze stupefacenti: mega carichi di hashish sulla tratta MaroccoSpagna-Italia movimentati da un’inedita joint venture tra albanesi e magrebini. In tre sono finiti in carcere in questi giorni. Il secondo è stato lo spunto per mettere sotto la lente una presunta organizzazione criminale esperta in riciclaggio di denaro tramite il sistema «hawala» con sospetti legami terroristici.
È a Capriate, via Trieste 48, che le due inchieste si incrociano. L’indirizzo corrisponde a quello di «Fratelli phone», in teoria un semplice phone center. In pratica, secondo gli inquirenti milanesi, una vera e propria banca. Il titolare Ahmed Hakim, 52 anni, marocchino con casa a Bottanuco, non per niente si fa chiamare «il direttore». Quando gli uomini del nucleo di polizia economico finanziaria di via dei Partigiani hanno già in buona parte ricostruito la filiera dei narcotrafficanti, nel 2016, chiedono di metterlo sotto intercettazione. Il dubbio è che dal suo negozietto parta per il Marocco il denaro «sporco» per finanziare nuove spedizioni. Scoprono così che l’uomo è già nel mirino dei colleghi milanesi del Gico (Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata), che in quel momento stanno cercando di fare luce su una presunta rete di sponsor dell’Isis. Sul cellulare del libico di Linate avevano trovato centinaia di video e foto che avevano fatto pensare a un legame con l’integralismo islamico. Prove concrete, poi, non ne sono state trovate. Gli investigatori si sono imbattuti, però, in quello che ritengono un collaudato sistema di riciclaggio di denaro gestito da broker hawala. Egiziani, siriani, marocchini e ungheresi che dall’Italia trasferivano soldi incassati da attività illecite: dalla droga all’immigrazione clandestina. Fra loro, anche il nordafricano di Bottanuco. Secondo l’accusa, ritirava, custodiva e consegnava fiumi di contanti. A novembre 2017 va in carcere con altri 12. Sul suo conto il gip evidenzia come fosse coinvolto in un’altra inchiesta sul traffico di droga, a Monza, come in più occasioni abbia usato alias per nascon- dersi alle forze dell’ordine, come avesse a disposizioni vari (e ricchi) conti correnti. E come il suo reddito fosse sproporzionato alla sua attività.
A Bergamo la posizione di Hakim è stata archiviata. Le Fiamme gialle hanno chiuso l’indagine a novembre 2016 dopo avere sequestrato, grazie a un attento lavoro sui telefoni degli indagati (una ventina in tutto), due carichi di hashish: uno da 13 chili ad Antegnate, l’altro da 300 chili appena arrivati su un camion dalla Spagna a Verdello. Allora erano stati arrestati i due corrieri. Oggi sono arrivate le ordinanze di custodia cautelare in carcere per i cinque «capi», firmate dal gip Ciro Iacomino. Fabio Allamani, 25 anni, albanese di Stezzano, Hndellatif Hajji, 31, marocchino di Cividate al Piano, e Abdellilah El Khairi, 50, marocchino di Milano, sono in cella. Gli altri due non si trovano.