Corriere della Sera (Bergamo)

Sul Vivalto la lezione da incubo sulle vocali

- di Beppe Fumagalli

Le prime nozioni, come i primi amori, non si scordano mai. E io dall’età di sei anni ho serbato nel forzierino della mia mente le parole della maestra Mastrorocc­o quando in prima elementare, puntando la bacchetta sulle immagini alle pareti, ci guidò alla scoperta delle vocali. La A di ape, la E di elefante, la I di istrice, la O orso, la U di upupa. Gli anni sono passati, sono cresciuto e ho avuto pure l’ardire di riprodurmi nella ferrea convinzion­e che le vocali fossero cinque. Ma la donna estratta a sorte dal destino per viaggiare al mio fianco, m’informa che così non è. «Le vocali sono sette», sdottoregg­ia, «A, I e U, più la È aperta di èstasi, la É chiusa di émpio, la Ò aperta di Òscar e la Ó chiusa di orma». Si ferma e sento su di me l’azzurro ardente dei suoi occhi. Non so cosa veda in questo suo attempato allievo, ma l’azzurro è subito oscurato da un’ombra. Probabilme­nte rassegnazi­one.

«L’ho sentita prima quando ha parlato col capotreno», riprende. «Lei è di Bergamo e con voi c’è poco da fare. Qui con le O ma soprattutt­o con le E fate disastri». Sul volto le si dipinge una smorfia. Cita un classico: «La moto, la foto e il topo tutte pronunciat­e con la O chiusa invece che aperta. E quando dite tonno fate l’errore contrario, aprite, là dove si dovrebbe chiudere». Sulla E capisco che potrebbe andare avanti all’infinito. Dopo mezz’ora di vocali che si aprono e si chiudono so solo una cosa. Non potrò mai dire cièlo, bène, piède, o dièci, vorrei solo vedere le porte del Vivalto che da chiuse diventano aperte e saltar giù dal treno. Ma lei ormai mi legge nel pensiero: «E si ricordi», ammonisce, «non dica tréno, ma trèno».

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