Tamburi mistici, l’anima dei Kodo
Al Dal Verme con il nuovo show, l’ensemble giapponese apre alle danzatrici
Sono una comunità quasi monastica, vivono insieme nell’isola di Sado, sul Mar del Giappone, davanti alla Corea. I virtuosi del Kodo, che in giapponese significa «il battito del cuore», si formano lì, in quella terra aspra di risaie e venti, di silenzi e luce. Un training lungo e impegnativo: per imparare a suonare il Taiko, strumento chiave delle percussioni tradizionali nipponiche, mani e braccia non bastano. Il Taiko esige tutto il corpo, e quindi una preparazione fisica da atleta. Ogni mattina dieci chilometri di corsa all’alba, poi esercizi di yoga e meditazone, dieta frugale, stile di vita spartano. E naturalmente ore e ore a picchiare su ogni tipo di tamburo e a studiare la musica tradizionale. Così per anni. Il cuore grande del Kodo pretende dedizione assoluta.
Un’arte antica e complessa, ormai famosa in tutto il mondo. Dal loro esordio in Europa, nel 1981 a Berlino, i tamburi del Kodo hanno conquistato le platee più disparate grazie alla potenza di un suono ancestrale capace di evocare le pulsazioni del cuore della madre percepite quando si è ancora nel suo ventre. A quelle suggestioni sonore che vanno dritte nel profondo, si aggiunge ora anche una forte impronta coreografica, come si vedrà stasera e domani al Teatro dal Verme (via San Giovanni sul Muro 2, ore 20.30, biglietti da 38,50 a 22 euro, tel. 02.87905201). Milano è una delle tappe del tour europeo del gruppo, guidato dal 2012 da Tamasuro Bando, star del teatro Kabuki. La sua impronta creativa ha segnato una svolta nella cultura radicale del Kodo. «Evolution», titolo emblematico dello spettacolo, apre l’arte maschile dei Kodo anche alle donne, allarga il repertorio musicale, rinuncia ai perizomi a favore di calzoni più vicini a un’estetica occidentale. Sul fronte degli strumenti, dopo averlo bandito per qualche anno, torna in scena l’o-daiko, il tamburo più grande, il re dei Taiko. Circa tre metri di diametro, 400 chili di peso, ricavato da un unico pezzo di legno lavorato per almeno due anni. Una voce unica, possente come quella di un dio.