L’amico di Bertola: «In quella stanza io non c’ero»
Le contraddizioni della vittima. Ma c’è la prescrizione
Era indagato, ora (archiviato) Alberto Mascheretti è testimone al processo a Fabio Bertola, di Verdellino, sul sequestro di Giuseppina Ghislanzoni. C’era: «Ma ero in un’altra stanza». E la donna si è contraddetta.
Più versioni sulle persone presenti, sulla data e sulle ore chiusa in ufficio
Ha cambiato città e vita. Alberto Mascheretti. 46 anni, abita a Trento e lavora come operaio. Ieri, deve aver rivisto dopo anni l’ex amico Fabio Bertola, l’architetto di Verdellino condannato all’ergastolo per l’omicidio di Roberto Puppo, in Brasile, ora a processo per il sequestro di persona di Giuseppina Ghislanzoni che gestiva il bar Hemingway. Mascheretti era legato a Bertola da uno scomodo doppio filo, spezzato nel 2013 da un patteggiamento a 20 mesi per il favoreggiamento nel delitto e nel 2015 con un’archiviazione per il concorso nel sequestro di persona.
Ieri erano a pochi metri di distanza, davanti al giudice Stefano Storto. Mascheretti, ora testimone, era negli uffici dell’immobiliare Rodisio dell’imputato quando nel 2010, contesta il pm Carmen Pugliese, Giuseppina Ghislanzoni venne sequestrata. Era socio della donna al 51% nella gestione del bar, per il quale Bertola aveva dato 200.000 euro di fideiussioni. Soldi che nel processo per omicidio sono stati ritenuti il movente. «A me per 70.000 euro, i loro accordi non me li ricordo», ha tenuto a precisare Mascheretti. Che ha preso le distanze da tutto quello che nella Rodisio è successo o, è la difesa di Bertola (avvocato Giuseppe Nicoli), non è successo. «Quando sono arrivato, la signora era già dentro. Ero in un’altra stanza, non ho sentito gridare nè alcuna lite». Ha sentito bene e si ricorda quello che Bertola disse, dopo che la signora andò via. Vide anche che aveva una pistola. «Era arrabbiato con il figlio della Ghislanzoni, disse che se fosse stato lì gli avrebbe sparato alle gambe, ma forse era una frase detta perché era arrabbiato».
Giuseppina Ghislanzoni, invece, ha raccontato altro: «Mascheretti andava avanti e indietro, non faceva nulla ma non mi ha nemmeno difeso. Quando me ne volevo andare mi ha detto: “non alzarti fino a quando non te lo dice Bertola”». Pensionata, 70 anni, su due fatti non tentenna. Uno: «Bertola rivoleva i suoi soldi, dovevamo dargli 500 euro tutti i giorni». Due: «Veniva a suonarmi il campanello, ancora oggi ho paura quando sento suonare». Sul giorno del presunto sequestro, invece, ha dato più versioni e l’avvocato Nicoli l’ha messo in evidenza. Sulle persone presenti quel giorno. Il difensore: «Nella denuncia, a luglio 2010, dice Bertola più due uomini; 15 giorni dopo Bertola più uno, poi Mascheretti più due, poi Mascheretti era in un’altra stanza ma sentiva tutto. E perché solo tre anni dopo ha parlato della pistola?». La signora: «Ero confusa, agitata. Ancora adesso se mi venisse in casa avrei paura».
Altro tassello da chiarire. La Ghislanzoni e il figlio hanno detto che il fatto è successo il 28 maggio 2010, un venerdì. Ma dalle verifiche dei tabulati telefonici i carabinieri (in aula il maresciallo Mamilio Farinetti) lo collocano al 30 aprile. Altra incertezza: la durata. «Sono stata lì 4 ore, dalle 11 alle 15, Bertola voleva che firmassi un foglio in bianco per impegnarmi a dargli 100.000 euro. Mi ha lasciato andare via solo dopo che di nascosto sono riuscita a chiamare l’avvocato». In denuncia — altra contestazione — aveva detto 2 ore, solo nel 2013 quattro. «Sono soddisfatto», si lascia sfuggire Bertola riferendosi alle contraddizioni. È ai domiciliari, lo accompagna la madre. Parlerà il 27 aprile. Ma questo processo è di fatto finito perché a maggio si prescrive. Per Bertola sarà invece determinante la Cassazione per l’omicidio, martedì prossimo.