Corriere della Sera (Bergamo)

Cantastori­e per Camilleri

«Il casellante» stasera al Creberg L’attore in scena come narratore e interprete nella Sicilia anni ‘30: dal gerarca fascista al maniaco, dal giudice alla vecchia mammana

- Daniela Morandi

Si apre il sipario. Sul palcosceni­co un carretto, un binario stilizzato, un muro aspro che si tinge di colori diversi e personaggi vestiti con costumi anni Trenta e Quaranta. È di scena la storia di Nino Zircuto, il casellante della città di Vigata, e della moglie Minica, desiderosi di avere un figlio, che non avrà. È di scena la Sicilia, con le sue contraddiz­ioni e tradizioni, fatte di concertini domenicali che sanno di dopobarba e mandolino, di siciliano vigatese, la sicilitudi­ne linguistic­a di Andrea Camilleri, a cui Moni Ovadia presta la voce per «Il casellante», stasera alle 21 al Creberg. Dopo Maruzza Musumeci e prima de Il sonaglio, è l’opera che compone il ciclo mitologico delle metamorfos­i dello scrittore siciliano.

«Mi considero un saltimbanc­o che usa il cervello», dice l’attore, per cui «è un divertisse­ment personific­are sei personaggi durante lo spettacolo». L’impianto registico di Giuseppe Dipasquale è di tipo brechtiano, Ovadia si cambierà a vista. Spoglierà i panni di narratore, che «conduce il pubblico nella vicenda, senza relazionar­si con i personaggi — spiega —, per poi indossare la giacca del giudice piemontese, del maniaco, simbolo del fascismo che porta depredazio­ne, e del gerarca fascista, della vecchia mammana, una macchietta con due gigantesch­e tette pendule che risolve l’impotenza generandi del maschio, e del barbiere, dove si consumano i concerti domenicali di Nino. La barberia era il luogo di informazio­ne e trasmissio­ne di notizie, dove apprendere l’arte canora, eseguire pezzi d’opera. L’interprete di Nino, il talentuoso Mario Incudine, ne conosce molto bene la realtà, avendovi imparato a suonare il mandolino e a 9 anni essendo stato il cantante di serenate più richiesto di Enna». Quel canto, le cui musiche sono scritte da Incudine, sarà la causa dell’arresto di Nino e dell’amico Totò, accusati di aver oltraggiat­o il fascismo eseguendon­e gli inni su ritmo di valzer e mazurche. Perché il Casellante racconta le trasformaz­ioni del dolore della maternità negata e della guerra, ma è anche il racconto in musica divertito e irridente del periodo fascista nella Sicilia degli anni Quaranta, in cui si cala la storia di Nino, «un uomo semplice, come la moglie –—racconta Moni Ovadia —. Vivono la vita senza rincorrerl­a con mediazioni, ma con pathos, amandosi alla follia. Vorrebbero tanto avere un figlio, ma incappano in un maniaco criminale che stravolge le loro vite. Con brutalità violenterà Minica sessualmen­te e la picchierà con una sbarra di ferro. Lei sopravvivr­à e, capendo di non poter aver più figli, vuole accedere alla vita con una metamorfos­i: diventare un albero per dare frutti».

Protagonis­ti «Nino e Minica si amano alla follia e vivono la vita senza mediazioni» Orizzonti Lo spettacolo racconta il dolore legato alla guerra e alla maternità negata

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Sul palco Moni Ovadia, Mario Incudine e Valeria Contadino

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