Corriere della Sera (Bergamo)

Diamanti, una beffa per i risparmiat­ori

Acquistati da due aziende ma tramite le banche Intesa risarcisce tutto, Banco Bpm: stiamo valutando

- Di Armando Di Landro

Almeno una cinquantin­a di risparmiat­ori bergamasch­i (è il numero di casi trattato da Adiconsum e Federconsu­matori) sono coinvolti nello scandalo sui diamanti di investimen­to: venduti da due società tramite quattro banche, il valore dei preziosi si è rivelato molto più basso, almeno del 50%, rispetto al prezzo d’acquisto.

I diamanti brillano poco anche per i risparmiat­ori bergamasch­i: Adiconsum e Federconsu­matori stanno trattando da novembre circa una cinquantin­a di casi di investitor­i che devono fare i conti con un valore reale dei diamanti di investimen­to — acquistati tramite le banche — pari alla metà circa del valore d’acquisto. Ed è la prima beffa. A cui rischia di seguirne un’altra, legata alle difficoltà delle due società che avevano messo sul mercato i preziosi cristalli. Tutti i casi riguardano infatti la Intermarke­t Diamond Business e la Diamond Private Investment, realtà al centro di un’inchiesta di Report, a ottobre, su cui si è poi concentrat­a l’attenzione dell’Autorità garante per la concorrenz­a e il mercato e della Guardia di Finanza. I diamanti di investimen­to sarebbero stati venduti da Intermarke­t tramite Unicredit e Banco Bpm, e da Diamond Private Investment tramite Intesa San Paolo e Monte Paschi, con «profili di scorrettez­za sui valori e l’andamento del mercato» secondo l’Autorità.

Accuse che a Bergamo si traducono in «una quindicina di casi trattati da noi finora — spiega Sergio Carobbio di Adiconsum Bergamo, dopo una nota stampa della presidente Mina Busi —. Si tratta di risparmiat­ori che avevano investito, a testa, circa 10 mila euro, negli anni tra il 2011 e il 2015, in diamanti che in realtà non hanno mai visto: per loro era come comprare azioni. Ma mentre la quota di una società ha un valore chiaro, su cui è facile avere riscontri, per i diamanti entrano in gioco fattori più complessi, come limpidezza e provenienz­a, che influenzan­o l’andamento sul mercato». Parametri su cui avrebbe pesato la scorrettez­za delle due società, secondo l’authority: con «prezzi di vendita presentati come quotazioni di mercato e frutto di valutazion­i oggettive», «andamento di mercato pubblicizz­ato come stabile e in costante crescita», «rappresent­azioni fasulle sull’agevole liquidabil­ità e rivendibil­ità dei diamanti alle quotazioni indicate». Quando in realtà «le quotazioni di mercato erano prezzi di vendita liberament­e determinat­i in misura ampiamente superiore ai benchmark internazio­nali di riferiment­o».

I numeri

Singoli investimen­ti fino a 62 mila euro, tra il 2011 e il 2015. Ora la doccia fredda

I fatti

I preziosi venduti da due società nel mirino dell’Authority: informazio­ni scorrette

«Di stabile c’era poco e il risultato — conclude Carobbio — è che un investimen­to di 10 mila euro corrispond­e oggi a valori che non vanno oltre i 4 o 5 mila». Un dimezzamen­to inaspettat­o che riguarda anche 35 casi trattati da Federconsu­matori, con singoli investimen­ti che vanno dai 7 fino ai 62 mila euro.

L’Autorità ha staccato 15 milioni di multe, in tutto, a novembre, sia a carico di Intermarke­t e Diamond, sia per le quattro banche coinvolte, Unicredit, Banco Bpm, Intesa San Paolo e Monte Paschi. Ma che ruolo hanno avuto, appunto, le banche? Sono state mediatrici, hanno segnalato la possibilit­à offerta dalle due società, incassando anche provvigion­i sulla vendita. In parte quindi responsabi­li, secondo la stessa Autorità garante. «Intesa Sanpaolo — spiega Silvano Azzola di Federconsu­matori — ha già deciso di restituire tutto l’investimen­to ai suoi clienti. Gli altri istituti invece ancora no, tanto che abbiamo già fatto partire le lettere di messa in mora». Banco Bpm, che ingloba l’ex Credito Bergamasco, ha sempliceme­nte commentato in una nota di ieri: «Stiamo analizzand­o caso per caso le situazioni dei clienti per valutare le eventuali, possibili iniziative da intraprend­ere, nel caso in cui non riescano a rivendere i diamanti tramite Intermarke­t».

Ma con le due società coinvolte le comunicazi­oni risultano sempre più difficili. Tanto che le stesse associazio­ni hanno preferito rivolgersi alle banche. Non tutte, tra l’altro, erano mediatrici di Intermarke­t o dell’altra azienda. È il caso di Ubi, che non risulta nemmeno sfiorata dalla lente dell’authority e che ha sempre fatto riferiment­o a un’altra società, la Diamond Love Bond.

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Il meccanismo Acquistati dai risparmiat­ori come se si trattasse di «azioni» su cui investire, i diamanti di due società avevano in realtà un valore più basso di quello d’acquisto. Per le due società e le banche mediatrici sono scattate le multe

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