Tre giorni dedicati alla storia dell’arte antica
Da mercoledì tre giorni di convegno sul pensiero di Winckelmann in terra lombarda
Figlio di un ciabattino di Stendal, straordinario studente grazie al sostegno degli ecclesiastici (ma definito dal preside «vago e incostante»), maestro elementare che insegnava «l’Abc ad allievi dalle teste tignose», poi bibliotecario di nobili e cardinali e, infine, fondatore della storia dell’arte antica: di Johann Joachim Winckelmann si festeggiava l’anno scorso il terzo centenario della nascita e, quest’anno, i 250 anni dalla morte. Avvenuta, com’è noto, alla Locanda Grande di Trieste in maniera cruenta: per rubargli due monete d’oro il vicino di camera, tale Arcangeli, lo pugnalò a morte.
Quest’uomo, che dedicò la vita agli studi classici e al quale dobbiamo le prime descrizioni filologiche — e non solo erudite — delle antichità egizie, etrusche, greche e romane venne in Italia nel 1756 dopo una forzata conversione al cattolicesimo grazie all’intermediazione del cardinale milanese Alberico Archinto e al medico-ambasciatore bolognese Ludovico Bianconi, fratello di Carlo, segretario perpetuano a Brera.
Detto che oltre all’amata Grecia non vide mai neppure la Lombardia bensì Firenze, Napoli e Roma, in occasione dei due anniversari Milano, e anche Bergamo, gli stanno dedicando importanti riconoscimenti, dovuti per quella ricaduta del suo pensiero che tanta scia lasciò in terra ambrosiana con il nome di Neoclassicismo.
L’anno scorso la Biblioteca Braidense e l’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere gli hanno dedicato una mostra intitolata «Winckelmann a Milano» (Sala Teresiana della Biblioteca Braidense), principalmente incentrata sulla prima traduzione in lingua italiana della sua Storia delle Arti del Disegno presso gli Antichi, avvenuta, appunto, a Milano nel 1779.
Ora è l’Università di Bergamo, in collaborazione con la Statale di Milano e l’Istituto Lombardo (con altri, come il Museo archeologico di Bergamo e la Biblioteca Angelo Mai) a organizzare un convegno di tre giorni che prende avvio mercoledì, alle 9,30 nell’Aula Magna Sant’Agostino dell’Università degli Studi di Bergamo. Le giornate, aperte a tutti (il 12 all’Istituto Lombardo di Milano e il 13 nella Sala Napoleonica dell’Università Statale di Milano) sono organizzate dagli studiosi Elena Agazzi e Fabrizio Slavazzi, che hanno chiamato a raccolta un ricco parterre di studiosi allo scopo di presentare relazioni e ricadute del pensiero di Winckelmann in terra lombarda.
Il titolo della biografia che Wolfgang Leppmann dedicò al Nostro, Una vita per Apollo, sintetizza molto della sua figura: omosessuale, cultore del bello, amante dell’arte Greca, interprete di statue e gemme antiche (ovvero camei, corniole e altre pietre incise di cui seppe magistralmente decifrare le scene), ispiratore del gusto di Villa Albani (era bibliotecario del cardinale) e Commissario alle Antichità di Roma, solo a posteriore un ruolo svolto con manica larga, visto che lasciò espatriare la cosiddetta Venere Jenkins (nome del banchiere intermediario), finita prima dal William Weddel a Newby Hall ma una quindicina d’anni fa alla famiglia Al Thani in Qatar (una recente mostra ai Musei Capitolini, curata da Eloisa Dodero, esponeva alcuni di questi nulla osta del Nostro).
La traduzione del 1779 fu sottoscritta,
Chi è Figlio di un ciabattino di Stendal, Johann Joachim fu anche maestro elementare e bibliotecario di nobili e cardinali. È il fondatore della storia dell’arte antica
Anniversario Si ricordano i 250 dalla morte: l’intellettuale venne ucciso con una pugnalata da un rapinatore a Trieste
ovvero «sponsorizzata» da 66 milanesi e quattro bergamaschi. Questi ultimi furono Vincenzo Antoine, il maggior stampatore di Bergamo del XVIII secolo; il conte Gianpaolo di Calepio, la cui corrispondenza si conserva nella Biblioteca Angelo Mai; il conte Giacomo Carrara, dalla cui collezione nacque l’omonima Accademia realizzata in stile neoclassico nel 1810 da Simone Elia e il conte Giacomo Greppi, committente della neoclassica Villa Greppi a Monticello Brianza. Questa traduzione fece conoscere il suo pensiero nei circoli di Brera, della Biblioteca Ambrosiana, della Società Patriottica a Milano e in altre accademie lombarde coniugando l’ideale palingenesi etica dell’Illuminismo con il riformato gusto estetico neoclassico. Piermarini, Knoller, Franchi, Albertolli, Traballesi, Appiani fino a Canova… tutti gli artisti «lombardi» dell’epoca sono impensabili senza al sua lettura dell’antico.