Corriere della Sera (Bergamo)

Il reggente di S. Alessandro e la contesa del pane e del vino

- Fabio Gatti

Un inventario può essere lettura arida e improdutti­va, ma può diventare stimolante se si tratta di un inventario di libri, capace di aprire squarci su un’epoca e sui suoi interessi culturali, tanto più se l’elenco in questione, datato a prima della metà del dodicesimo secolo, è il più antico della storia bergamasca, come il breve recordatio­nis di Pietro del Brolo, reggente della cattedrale di Sant’Alessandro (l’antica basilica di Città Alta poi abbattuta per fare spazio alle mura venete) tra il 1125 e il 1136.

Questo sottile foglio di pergamena, scoperto da Mario Lupo sul finire del 700 e custodito nell’Archivio storico diocesano, è breve di nome e di fatto, componendo­si di sole 12 righe scritte in latino, che però bastano a illuminare gli interessi di un sacerdote, intenziona­to a dotare la chiesa di volumi e arredi sacri (catalogati nella seconda parte del documento) procurati «grazie alle elemosine che Dio mi ha messo nelle mani». Più che una biblioteca personale, a essere delineata è la modesta dotazione libraria di una chiesa medievale: la riscoperta umanistica dei classici è ancora lontana, e nella lista, priva di un ordine apparente, figurano soprattutt­o libri per la messa (lezionari, messali, una raccolta di sermoni), oltre che, naturalmen­te, parti della Bibbia, anche se non mancano le grandi opere dei Padri della Chiesa, da Agostino a Gerolamo, da Isidoro di Siviglia a Gregorio Magno.

La scelta dei titoli aggiunge comunque qualcosa alla biografia sfuggente di Pietro del Brolo, al quale è ora dedicato l’agile ma interessan­te studio di Lucia Dell’Asta, Pietro del Brolo. La famiglia, i libri (Archivio Bergamasco, pp. 108, euro 10), che attraverso accurate ricerche d’archivio muove dai pochi dati certi (Pietro è fratello di Mosè, autore di un famoso poemetto in lode di Bergamo, il cosiddetto Liber Pergaminus) per restituire l’immagine di un sacerdote tutto preso dalla gestione della sua chiesa e agguerrito nel difenderne il primato cittadino e gli annessi privilegi, insidiati dalla cattedrale di San Vincenzo, l’odierno duomo. Regista di importanti operazioni economiche, come l’acquisizio­ne di terreni che garantisco­no a Sant’Alessandro rendite certe, Pietro non esita a polemizzar­e, nel 1129, con il vescovo Ambrogio Mozzi, amico di famiglia e responsabi­le della sua nomina, pretendend­o dalla diocesi alcuni diritti, tra i quali la riparazion­e del tetto della chiesa e la fornitura annuale di pane e vino per la messa.

Per comporre la lite deve scomodarsi addirittur­a papa Onorio II, che dopo ripetuti richiami alle parti è costretto a inviare in città due cardinali, i quali, sorprenden­temente, daranno ragione a Pietro del Brolo, vincitore, sempre per decisione del papa (in questo caso Innocenzo II), anche del contrasto del 1132 con la concorrent­e chiesa di San Vincenzo, a riprova del carisma e del potere di cui un sacerdote dell’epoca poteva disporre.

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Bergamo nel XVI secolo, olio su tela

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