Alpinista morì Chiesti 4 anni
Chiesti 4 anni per il legale rappresentante della ditta di Cisano
Per la morte di uno scalatore dodicenne è stata chiesta la condanna del titolare di una ditta di Cisano. L’attrezzatura da lui prodotta avrebbe avuto istruzioni insufficienti sul suo utilizzo.
Ha venduto l’attrezzatura per arrampicata senza adeguate istruzioni per l’uso, cosa che fu tra le cause della morte di un giovane scalatore. Con questa accusa il pm di Torino Francesco La Rosa ha chiesto una condanna a 4 anni per Carlo Paglioli, legale rappresentante della Aludesign di Cisano.
I fatti risalgono al 3 luglio 2013 quando il dodicenne Tito Traversa, di Ivrea, promessa dell’arrampicata sportiva internazionale, era caduto da 20 metri durante una scalata a Orpierre, nell’Alta Provenza, ed era morto in ospedale a Grenoble dopo due giorni di coma. I periti della procura torinese avevano analizzato l’attrezzatura usata dal ragazzo, che l’aveva presa in prestito da una coetanea, e la stessa parete. Avevano concluso che i rinvii (punti fissi in parete) erano stati predisposti in modo scorretto. Le fascette destinate all’aggancio dei moschettoni sorreggevano anche alcuni gommini, che servivano solo per bloccare la rotazione della corda dentro la fettuccia. Per errore, i moschettoni erano stati agganciati a quei gommini, che non garantiscono la sicurezza. E quando Tito si era slegato mettendo il suo peso su uno dei rinvii, il gommino si era rotto, e i moschettoni si erano poi sganciati, uno dopo l’altro, man mano che la fune andava in tensione per sostenere il peso del ragazzino in caduta.
Fettucce e gommini erano appunto della «Aludesign», azienda di via del Torchio a Cisano, da trent’anni attiva nella produzione di dispositivi di protezione individuale per l’utilizzo in tutte le discipline verticali: dall’alpinismo ai lavori in quota, dalle vie ferrate e ai parchi avventura, e titolare di 20 brevetti internazionali. La qualità del materiale usato da Tito Traversa non è in discussione, ma secondo la procura nel manuale che accompagnava l’attrezzatura dovevano esserci anche «adeguate indicazioni sul suo utilizzo». Da qui la decisione
L’accusa Per il pm l’attrezzatura sarebbe stata venduta senza adeguate istruzioni per l’utilizzo
del pm di chiedere la condanna per il legale rappresentante della ditta oltre che per l’istruttore, che avrebbe dovuto controllare meglio l’attrezzatura del ragazzo.
«Per ora siamo solo alle richieste del pm, che secondo noi contraddicono ciò che è emerso durante l’istruttoria dibattimentale — commenta per conto dell’imprenditore di Cisano il suo avvocato Maurizio Riverditi di Torino —. Ciò che è successo è triste e tragico ma secondo noi non coinvolge le responsabilità dell’Aludesign, e potremo dimostrarlo». Le tesi della difesa saranno esposte nell’udienza in programma il 12 maggio, la sentenza è prevista per le settimane successive.