Corriere della Sera (Bergamo)

Bertola in aula smentisce il suo ex accusatore

Episodio del 2010, a processo il condannato per omicidio

- Giuliana Ubbiali

Fabio Bertola, già condannato definitiva­mente all’ergastolo per l’omicidio di Roberto Puppo, è tornato nell’aula del tribunale di Bergamo per il sequestro di Giuseppina Ghislanzon­i, il 28 maggio 2010, nel suo ufficio di Verdellino.

Un sorriso, ricambiato, alla mamma Alessandra Ferrari dal banco degli imputati e poi, fuori dall’aula numero 4, un bacio prima di rientrare in carcere. Fabio Bertola, l’architetto di 49 anni già condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Roberto Puppo, in Brasile, è tornato davanti al giudice. Stavolta per il sequestro di Giuseppina Ghislanzon­i, il 28 maggio 2010, nel suo ufficio di Verdellino. Rivoleva i soldi messi nel bar Hemingway di cui lei era socia, è l’accusa: proprio questi soldi sarebbero poi il movente del delitto riconosciu­to da tre gradi di giudizio.

All’udienza del 15 marzo, non senza contraddiz­ioni, la signora, 70 anni, disse di essere rimasta chiusa nell’ufficio per quattro ore, costretta. Bertola, maglione a rombi, occhiali al collo con una cordicella e un plico di fogli in mano, la smentisce. E, soprattutt­o, smentisce Alberto Mascherett­i, l’ex amico che dall’indagine sul delitto uscì con un patteggiam­ento a 20 mesi per favoreggia­mento e dal sequestro con un’archiviazi­one.

L’avvocato di parte civile Luca Bosisio cita a Bertola la deposizion­e di Mascherett­i e lui lo anticipa: «Sì, sì, l’ho letta». Non è insolito. Al processo per omicidio conosceva alla lettera gli atti, puntellati di post-it. Sempre l’avvocato: «Secondo Mascherett­i lei disse che se quel giorno ci fosse stato lì il figlio della signora gli avrebbe sparato alle gambe». L’architetto, difeso dall’avvocato Giuseppe Nicoli, traduce in parole i modi pacati: «Non sono mai stato un violento, non andavo in giro armato, non ho mai minacciato nessuno nella mia vita». La pistola, appunto. Il 28 maggio 2010 (anche se i carabinier­i collocano il sequestro al 30 aprile) ce l’aveva e l’ha mostrata. Parola della Ghislanzon­i, e di Mascherett­i. Bertola, smagrito (sei mesi dopo l’arresto, nel 2013, uscì per dal carcere per i 31 chili persi), accavalla la gamba destra sulla sinistra e, sopra, incrocia la mano sinistra sulla destra. Ringrazia l’addetta alla fonoregist­razione che sistema il microfono, si scusa quando interrompe il pm, spiega tutto con la solita loquacità. «Ho una pistola regolarmen­te detenuta e custodita nella cassaforte, anche quando sono venuti ad arrestarmi era lì. Non ce l’avevo quel giorno, è per uso sportivo quindi non potevo portarla fuori per altri motivi. Per altro è intonsa, non sono mai nemmeno andato al poligono».

Regole, logica e interessi. Li aveva, nel bar Hemingway: «Alla cassa avrebbe potuto lavorare mia moglie, ma prima volevo vedere come sarebbe andato il locale». Su richiesta di Mascherett­i, socio al 51%, mise le fidejussio­ni. Prestò anche 50.000 euro alla Ghislanzon­i per una casa e 13.000 euro a Mascherett­i per sistemare una saletta del bar. Si tutelò: «Ho chiesto la procura a vendere per il locale e l’appartamen­to». È la sua logica per smentire il sequestro e le minacce al figlio della signora, Marcello Ravanelli, sempre con una pistola. «Non ne avevo motivo, con in mano due mandati di vendita. Sarebbe stata una cosa stupida oltre che non corrispond­ente al mio modo di comportarm­i». L’incontro è innegabile, da lui. «Volevo capire perché un locale sempre pieno andasse male. I fratelli Ravanelli e Mascherett­i si incolpavan­o a vicenda delle perdite». Mascherett­i c’era, quel giorno. «Ero in un’altra stanza», disse lui in aula, a marzo. Altra smentita di Bertola: «In ufficio eravamo io, Cornago, mio strettissi­mo collaborat­ore, Mascherett­i e, nell’altra stanza, un altro signore che lavorava per noi. Ma la porta tra i due uffici era sempre aperta».

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Ergastolo Fabio Bertola, dopo sei mesi di carcere nel 2013 fu messo ai domiciliar­i per motivi di salute. Dal 28 marzo è in cella dopo che la condanna è diventata definitiva
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per l’omicidio di Roberto Puppo (foto)

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