«Il successo intatto di Frate Indovino nell’era social: 5 milioni di copie»
I like di Facebook superano il milione (un numerone che anche certe star dello spettacolo se lo sognano), ma i calendari, molto meno virtuali e molto più cartacei, sono cinque volte tanto. Cinque milioni, appesi nelle case di tutti gli italiani che considerano Frate Indovino, con la sua immagine barbuta e arguta, uno di famiglia da tempo immemore. Una sorta di nonno, figura familiare a cui, insieme a quella della nonna, è stata dedicata l’edizione del 2018. Sempre con quella disincantata poetica del linguaggio che resta la cifra distintiva del calendario «Grazie di cuore, nonni, siete persone meravigliose che non si risparmiano…», lontana anni luce dagli slang aggressivi della Rete. Se l’almanacco leopardiano è la speranza disillusa dell’anno nuovo, quello di Frate Indovino è un inno alla ciclicità del tempo e della natura. Uno è pessimista, l’altro è naturista nel senso più vero del termine perché fonda sulle conoscenze della natura, maturate nei secoli dentro i conventi, la sua forza. Ma soprattutto Frate Indovino è iconico, l’immagine stessa di un’Italia dei borghi fatta di cose semplici, proverbi, massime, consigli pratici, saggezza distillata. Erboristica, cucina, fasi lunari, nevicate previste, ironie bonarie, punzecchiature, unite alla certezza di non toppare neanche un onomastico, in considerazione della pletora di santi celebrati ogni santo giorno. Statistiche alla mano, in Bergamasca si legge e si sfoglia un Frate Indovino ogni 31 abitanti: solo nelle case cittadine gli abbonati sono oltre 3 mila e 300, mentre in provincia superano quota 27 mila. Se poi si aggiungono le copie distribuite dagli zelatori (in pratica dei volontari che, appunto, armati di buona volontà e zelo promuovono la vendita del calendario presso parenti e amici) si raggiungono le 34 mila copie totali.
Quando a settembre arrivano i primi numeri, freschi di stampa, scatta la mission commerciale: offerta libera e i calendari vanno via come il pane. Ma la cometa editoriale dell’almanacco, con un suo stile che immutabile nel tempo lo rende rassicurante, fin dal lontanissimo 1946, ha una lunghissima coda di prodotti e di altre migliaia di bergamaschi cultori: 11.500, tra città e provincia, ricevono il calendario da tavolo, 9 mila quello dell’Avvento (una special edition dedicata al periodo natalizio) e quasi sei mila sono abbonati al bimestrale «La Voce Serafica» di cui è capo redattore il giornalista bergamasco Giuseppe Zois. Come faccia il fenomenale Frate Indovino, nato da un’intuizione di Fra Mariangelo da Cerqueto a resistere con il suo fascino intatto anche in un’epoca molto social (dove è presentissimo con un sito internet costantemente aggiornato) è un mistero che neanche Zois riesce a spiegarsi del tutto. E sì che del tempo, con Fra Mariangelo, ne ha passato parecchio. È il 1992 quando il giornalista bergamasco, 70 anni («Sono appena più giovane del calendario», scherza), una vita passata tra le redazioni svizzere del Giornale del Popolo e dell’Eco di Locarno, ma anche a scrivere libri, trova sulla sua strada professionale Frate Indovino. I due si intendono subito e dall’incontro primordiale con il mitico Fra Mariangelo, fondatore dell’Opera Frate Indovino, nasce una collaborazione editoriale che dura da oltre 25 anni.
Zois è una sorta di facilitatore e coordinatore dell’editing «indovino»dei Frati Cappuccini che, a capo del calendario hanno messo, dopo la morte del fondatore nel 2002, Padre Mario Collarini. «Ma che di indovino nel senso di magico non ha proprio nulla — precisa — non ci sono tracce di vaticini e oroscopi, zero superstizione per carità. Tutto è fondato sull’osservazione dei cicli della terra e della luna, una saggezza contadina in salsa di comunicazione popolare». Quella di Zois, è una collaborazione trasversale, a cominciare dall’elenco autostradale dei personaggi che è riuscito a coinvolgere, a vario titolo, sulle colonne del bimestrale «la Voce Serafica» di cui il giornalista costituisce la redazione. Ma nelle pieghe, tra un’uscita e l’altra del periodico, si inserisce la consulenza, forse più impegnativa, ma anche quella più creativa al calendario. Ormai in stampa quello del 2019, a Perugia e dintorni si sta già progettando l’almanacco del 2020, che festeggerà il 75° di fondazione. «È una data importantissima, un anniversario a cui teniamo molto e che ci sta già impegnando fin d’ora nell’ideazione. Vogliamo qualcosa di speciale». Passano gli anni, questo è vero, ma i prossimi 75 non saranno tanto diversi, per l’almanacco del Cappuccino, dai 70: «Non ti curare se ha la barba bianca, ti porta tanta gioia e non si stanca».