Divercity la nuova rivista per l’inclusione
La direttrice aveva già scritto un libro di dialoghi con i manager Ora l’intento è aprire al confronto proponendo esempi concreti Per ora online, ma arriverà la versione cartacea a pagamento Il magazine sulle diversità di Valentina Dolciotti Luogo di inco
Si chiama Divercity la nuova rivista di Valentina Dolciotti, esperta in inclusione e diversità nelle aziende. Il magazine vuole essere un percorso di esempi concreti sulle pratiche di inclusione.
La proposta Un viaggio dentro intuizioni innovative, tra studi e conferenze internazionali
Il magazine si pone come luogo d’incontro tra il mondo delle aziende, che può conoscere meglio cosa accade sul territorio, e il mondo formato da tutti coloro che non lavorando in azienda pensano di non averci nulla a che fare
Valentina Dolciotti
Direttrice Divercity
Alla ricerca di un ruolo per il mondo del lavoro tra inclusione e diversità: da diversi anni Valentina Dolciotti, di Bergamo, porta avanti un discorso chiaro, una proposta lucida e pragmatica.
Le basi le aveva gettate con l’innovativo convegno del 2015, molto partecipato, tenutosi a Bergamo «#diversity. Quanto vale la diversità», al Parco Scientifico Kilometro Rosso. E che la strada fosse tutta da tracciare lo ribadì nel suo libro dello scorso anno Diversità e inclusione. Dieci dialoghi con diversity manager di altrettante aziende (edito da GueriniNext con una significativa postfazione di Telmo Pievani).
Una road map che oggi continua ancora a svilupparsi disegnando progetti, proponendo narrazioni per un futuro inclusivo e che si è concretizzata anche nel nuovo progetto, una rivista, la prima nel suo genere, online da pochi giorni con l’efficace nome di Divercity (si può consultare ma non scaricare al link https://issuu.com/valentina.dolciotti/docs/divercity_n.1_2018_mediumquality per decidere se diventare sostenitori della versione cartacea, quadrimestrale) con sottotitolo «Magazine di inclusione e innovazione».
È così che Valentina Dolciotti e chi ha lavorato al primo numero ci invitano a percorrere una rete di connessioni innovative, sull’onda dell’intuizione avuta dallo scrittore e vice direttore Tiziano Colombi: «C’è un intento forte, ovvero aprire al confronto su queste tematiche partendo da esempi concreti, evitando teorie fuffa».
Prendiamo uno degli articoli più interessanti, «L’onda Ted», dedicato al marchio di conferenze presente in tutto il mondo dal 1984: la fondatrice di Quantum Leap (società di consulenza per tecnologia e innovazione), Emilia Garito, descrivendo questo scambio internazionale di saperi ed esperienze fa pensare proprio a quello che arriva leggendo Divercity, ovvero trattare l’esistente con uno sguardo inclusivo: «Ted è un’immersione di umanità e pensiero. Pensiero che viaggia attraverso l’energia della community; un’onda umana che vive e cresce attraverso persone che la alimentano. Un movimento di donne e uomini e idee dirompenti, che in breve tempo diventano riferimento per la creazione di nuove idee e riflessioni ancor più ampie, le quali favoriscono e accelerano la formazione di una civiltà più consapevole e globale».
Creare una rivista indipendente, oggi, significa affermare la fede nella forza del pensiero e della scrittura, che resta fondamentale per Valentina Dolciotti: «L’idea del magazine si inserisce nel solco tracciato dal libro: sono legata alla forma scritta e a quella cartacea. I tempi di un libro sono dilatati e dal respiro più ampio. Quelli della rivista più contemporanei e più inseriti nella realtà che accade. È come se il magazine fosse un libro con le antenne. Ci sarà poi la versione cartacea a pagamento perché oltre che un mezzo Divercity vuole anche essere un prodotto da conservare e consultare nel tempo. Non solo informazioni che spariscono come l’inchiostro simpatico, sensazione che talvolta mi dà lo scritto online».
Nel più puro spirito che garantirà sempre un futuro alla diffusione della cultura attraverso giornali, riviste e libri, la neodirettrice si augura che il magazine possa «porsi come “luogo d’incontro” tra il mondo delle aziende, che può conoscere meglio cosa accade sul territorio e quali realtà lo animano con progetti d’inclusione, e il mondo formato da tutti coloro che non lavorando in azienda pensano di non averci nulla a che fare, senza cogliere bene che le imprese influenzano comunque la nostra esistenza e le nostre scelte quotidiane».