IO, CUORE ALFISTA CHE GIOIA!
Ci sono omaggi, come quello che la 1000 Miglia tributa quest’anno all’Alfa Romeo e alla vittoria del ’28 conquistata da Campari e Ramponi, che sono doverosi per non dimenticare quanto è stato fatto, le gesta sportive e le conquiste tecnologiche che hanno avuto riflessi fondamentali sullo sviluppo economico e sociale dell’Italia. E questo è un omaggio che tocca i miei sentimenti più profondi perché il mio cuore ha cominciato a battere insieme all’Alfa Romeo. La mia passione per i motori e le mie attitudini per le corse sono state evidenti fin da subito ai miei genitori. Ho iniziato da giovanissimo con le motociclette e nel ’62 ho debuttato in pista con la mia prima Alfa Romeo. Era una Giulietta Spider veloce, motore più potente rispetto a quella «normale», con quattro carburatori. Oggi la definisco la mia prima auto sportiva, ma a quei tempi, toglievi la marmitta per fare un po’ più di rumore e avevi l’auto sportiva. Era tutto più artigianale e molto più avventuroso e, forse, per questo anche più affascinante, perché ti guadagnavi un seggiolino, se eri capace, non se portavi i soldi come accade oggi. L’anno successivo mamma e papà mi regalarono la Giulietta SZ, la Zagato alleggerita, costruita solo per le corse. Un gioiello.
Mi si aprì la strada per le competizioni internazionali nel Gt e quell’anno vinsi anche il Rally di Sardegna. Guidare un’Alfa Romeo era ed è un tripudio di emozioni. E anche quando guidavo i prototipi Ferrari e Abarth, - Carlo Abarth aveva creato dei bolidi che andavano fortissimo in quegli anni, anche più delle Alfa e la Simca 1300 era una potenza -, il mio cuore e i miei pensieri erano all’Alfa, tanto che, contemporaneamente, correvo con le GTA. Nel periodo in cui Carlo Chiti diede vita alla scuderia Autodelta, tornai ai colori dell’Alfa, vivendo poi con sofferenza il declino che pian piano portò prima allo spostamento degli stabilimenti dalla sede storica del Portello ad Arese e poi al passaggio al gruppo Fiat, fino alla chiusura del reparto corse. Ho vinto titoli mondiali nei prototipi, sono salito sul podio nelle gare Veterano Arturo Merzario in occasione della sua ultima partecipazione alla Mille Miglia lo scorso anno (LaPresse)
di durata e ho vissuto grandi emozioni – ad esempio, a Brescia mi lega anche una vittoria della cronoscalata della Maddalena, corsa con un braccio ingessato - e, a distanza di 50
anni, le vivo con lo stesso trasporto, quando penso all’Alfa Romeo. E le rivivo anche grazie alla 1000 Miglia, in cui, forse, quando era gara di velocità e l’Alfa Romeo è stata la casa
automobilistica che ha brillato di più. E bisogna dare atto a chi, con la versione moderna, è riuscito a ricreare l’interesse e il gusto della competizione della Freccia Rossa. Organizzare una gara di questo tipo non è assolutamente facile, ma si è riusciti a mantenere alto il nome della 1000 Miglia, che nel mondo viene accostato a quello della Targa Florio, della 24 ore di Le Mans o alla 500 Miglia di Indianapolis. E il ricordo della vittoria di 90 anni fa deve anche valorizzare il fatto che, se oggi la Ferrari è grande, lo si deve anche alla capacità di Enzo Ferrari di prendere il meglio dell’esperienza di Alfa e Lancia. Un ricordo che auspico possa essere benaugurante anche per il ritorno alle competizioni. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una ripresa, sul piano commerciale. Ora, il mio cuore di irriducibile «alfista», desidera che l’esperienza avviata quest’anno in Formula Uno con Sauber si ampli e, soprattutto sia firmata in toto Alfa Romeo, di cui al momento c’è ben poco. Mi piacerebbe rivedere il marchio di Arese, sfrecciare nei campionati turismo internazionali, davanti alle concorrenti tedesche, in un moto di orgoglio che trova le radici negli anni dei grandi successi che hanno fatto grande l’Alfa Romeo. Gli anni in cui l’Alfa era il sogno di tutti, non solo dei piloti, ma anche della gente comune. E spero che questo, presto, torni il sogno dell’Italia che corre e che viaggia.
Arturo Merzario Pilota (testo raccolto da Lilina Golia)