Corriere della Sera (Bergamo)

«Riciclaggi­o, gli uffici postali segnalano poco»

L’affondo del procurator­e, l’azienda si difende

- Di Landro

Sono già quattro le inchieste della Procura di Bergamo che nell’ultimo hanno e mezzo hanno messo a fuoco lo stesso meccanismo, applicato da indagati diversi: fatture false, versamenti di aziende compiacent­i e infine prelievi di contanti, ma con un denominato­re comune. In tutti i casi i prelievi avvengono soprattutt­o negli uffici postali e in particolar­e tramite le carte prepagate Postepay. Un punto su cui arriva l’affondo del procurator­e di Bergamo Walter Mapelli: «Registriam­o una certa mancanza di sensibilit­à e tempestivi­tà da parte di Poste Italiane sulle Sos (Segnalazio­ni di operazioni sospette in materia di riciclaggi­o, ndr). Un migliorame­nto del sistema ci permettere­bbe di fermare prima certi meccanismi». Ma l’azienda replica «con un certo stupore. Il numero di Sos inviate negli ultimi mesi all’Unità di informazio­ne finanziari­a (Uif della Banca d’Italia) dimostra la nostra grande sensibilit­à sui rischi di riciclaggi­o».

Nel giro di un anno e mezzo sono già state quattro le inchieste della Procura di Bergamo che hanno messo a fuoco un sistema di evasione fiscale e riciclaggi­o ormai collaudato. I principali indagati, dopo aver aperto società cartiere, stampano fatture per operazioni inesistent­i in favore di aziende vere e compiacent­i, che poi versano almeno il 20% dell’importo della fattura in favore delle «scatole vuote» (le cartiere, appunto). Il denaro viene quindi prelevato, non prima però di un ultimo passaggio, che è la chiusura del cerchio ed è anche un comune denominato­re di tutte le recenti inchieste. I soldi vengono infatti distribuit­i quasi sempre su una fitte rete di conti correnti delle Poste e, in particolar­e, su carte prepagate Postepay, utilizzate in modo massiccio.

I prelievi ad esempio avvenivano in sportelli postali tra la Val Camonica e l’Alto Sebino nell’inchiesta dell’ottobre 2016, curata dal pm di Bergamo Emanuele Marchisio, che riguardava in particolar­e l’ex titolare di un’azienda metallurgi­ca di Erbusco. La Guardia di Finanza aveva stimato 160 milioni di euro di fatture per operazioni inesistent­i in tre anni. Stesso pm e stesso sistema svelato un anno fa, quando in arresto era finito il «Noce», soprannome di Stefano Garatti, di Pisogne, non parente ma socio in affari di Fabrizio Garatti, il «Biscio», scomparso misteriosa­mente nel nulla a Costa Volpino il 26 maggio del 2016. Una serie di collaborat­ori di Stefano Garatti prelevava contanti negli uffici postali di mezzo Nord Italia. Era invece di 104 milioni di euro il giro di fatture fittizie ricostruit­o dal pm Gianluigi Dettori e dalla Finanza a ottobre: in quel caso le società cartiere erano state I contanti Sopra, l’ufficio di via Bornaghi 8, a Treviglio, utilizzato da una serie di indagati per contare i soldi appena prelevati. L’inchiesta ha portato all’arresto di quattro persone accusate di associazio­ne a delinquere finalizzat­a al riciclaggi­o intestate anche a malati terminali e tossicodip­endenti. E i prelievi sempre in Posta. Infine, settimana scorsa, le Postepay erano al centro di tutto il giro ricostruit­o dalle Fiamme Gialle e dal sostituto procurator­e Davide Palmieri a Treviglio, con 11 milioni di fatture false in quasi un anno e mezzo. Quattro persone in carcere per associazio­ne a delinquere.

È solo una coincidenz­a che il cerchio sia sempre stato chiuso alle Poste? Gli inquirenti non la vedono così: «Riscontria­mo una certa mancanza di sensibilit­à e tempestivi­tà da parte di Poste Italiane nelle Segnalazio­ni di operazioni sospette (le Sos, contro il riciclaggi­o) — dice il procurator­e di Bergamo Walter Mapelli —. Le ultime inchieste dimostrano che si potrebbe o dovrebbe lavorare sul sistema delle segnalazio­ni, che ci permettere­bbe di fermare prima certi meccanismi». Ma quindi chi sceglie le Poste lo fa sapendo che le Sos sono carenti? «Non credo — aggiunge Mapelli —. Penso ci siano motivi ben più semplici alla base della scelta. Ad esempio la diffusione degli sportelli sul territorio. Ma d’altra parte ritengo che questo sia anche uno dei motivi di una certa carenza sulle segnalazio­ni anti riciclaggi­o: con una maggiore diffusione di uffici e personale forse è più difficile far passare un messaggio di sensibilit­à ai dipendenti».

Ma proprio Poste Italiane fa sapere di «accogliere con sorpresa quanto dichiarato dal procurator­e, visto il profondo impegno sul tema. Il numero di Sos inviate all’Unità di Informazio­ne Finanziari­a (Banca d’Italia) da parte di BancoPosta — 18.365 nel 2017 e 7.462 nel primo quadrimest­re del 2018 — testimonia il grado di sensibilit­à dell’azienda sul rischio riciclaggi­o, se confrontat­o con il numero complessiv­o di Sos inviate annualment­e all’Uif da tutti i soggetti obbligati sul territorio nazionale, circa 100 mila. Per quanto riguarda la tempestivi­tà oltre l’85% delle segnalazio­ni è stato inviato all’Uif entro i 30 giorni successivi all’operazione. I dipendenti di Poste Italiane tutti ed in particolar­e il personale degli UP sono costanteme­nte inseriti in programmi di formazione ed aggiorname­nto, così come previsto dalle norme di settore».

❞ Le recenti inchieste dimostrano che lavorare sulle segnalazio­ni ci consentire­bbe di fermare prima certi meccanismi Walter Mapelli Procurator­e

Il dato Nell’ultimo anno e mezzo quattro inchieste. Il passaggio finale con le Postepay

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