IL NUOVO PD DEI CAPPONI
Quando si dice il ritorno della politica, contro i populismi. Il primo argine allo tsunami dovrebbe essere il Pd, per tradizione culturale, all’insegna del riformismo illuminato. E guardiamolo, questo argine. A Roma come a Bergamo, da qualunque parte lo si osservi, fornisce lo stesso spettacolo. Come se dal 4 marzo non fosse arrivata una bancata epocale, continuano imperterriti a menarsi botte da una corrente all’altra, accreditando febbrilmente l’idea diffusa del piddino molto più astioso contro i compagni di viaggio che contro gli avversari delle altre sponde. In questi giorni, la terra orobica sta fornendo un reality dai toni e dai modi imbarazzanti. Le colpe dell’insuccesso, le nuove nomine, i prossimi passi: tutto è buono per randellarsi sanguinosamente. Si accusano, si lanciano insinuazioni, si rinfacciano le scelte degli ultimi mesi. Ma che bella armonia, ma quanta lucidità. Poi magari si siedono a congresso per chiedersi come mai la gente cambi indirizzo. Più c’è bisogno di una forza pacata e lucida, più loro fanno volare gli stracci. Di fronte al simpatico show, a me viene in mente solo una memorabile metafora: «…le quali intanto s’ingegnavano a beccarsi l’una con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura…». Ovviamente non è mia, è di un tizio che la sapeva molto più lunga sugli uomini: Alessandro Manzoni. Parla dei quattro capponi che Renzo porta all’Azzeccagarbugli. Senza offesa: a Bergamo abbiamo il Pd dei capponi. Non sto a dire che fine facciano.