«Moschea, a El Joulani 50 mila euro in contanti»
Il passaggio in una nota scritta, ma non è provato Oggi in aula il segretario dell’Ucoii da testimone
Da acquirente dello stabile di via San Fermo aveva ricevuto un mandato dal venditore (per cedere a se stesso) con una provvigione da 50 mila euro: un passaggio di denaro curioso per Imad El Joulani, imputato di truffa al Centro culturale islamico per la vicenda del denaro dal Qatar.
«Avete trovato traccia di denaro in contanti?». La domanda è del pubblico ministero Carmen Pugliese. La risposta, da testimone (che ha collaborato naturalmente con la pubblica accusa), tocca al maresciallo della Guardia di finanza di Bergamo Carlo Lillo, che ha lavorato al caso della moschea mancata di via San Fermo, e cioè di quello stabile che il medico Imad El Joulani acquistò con i soldi ricevuti dalla Qatar Charity Foundation: è imputato di truffa. Da presidente del Centro culturale islamico di via Cenisio, secondo la tesi accusatoria, aveva creato ad hoc la Comunità Islamica di Bergamo, nuova associazione, solo per far credere alla fondazione dell’emirato che poteva versare i suoi soldi proprio lì, sui conti della Cib. E infatti erano arrivati 4 milioni e 980 mila euro. Ma all’insaputa del Centro culturale poi presieduto da Mohamed Saleh, che è parte civile a processo.
Qualcosa sui contanti il maresciallo deve dirla. Riferisce che nell’ambito dei documenti per la compravendita dello stabile di via San Fermo, passato dalla Deposito Srl alla Tecno Cib fondata da El Joulani, era stato trovato anche un mandato a vendere, firmato da Elio Breda, della società che cedeva, proprio in favore di El Joulani. E cioè il futuro acquirente riceveva un incarico come venditore, praticamente a se stesso. «Sopra c’era una postilla manoscritta — ha spiegato il maresciallo
—, in cui si diceva che l’imputato aveva già ricevuto 50 mila euro in contanti e ne avrebbe ricevuti altri 50 mila». In aula è intervenuto a quel punto l’avvocato Paolo Maestroni, parte civile per Saleh e il Centro culturale islamico, che ha mostrato alle parti, di fronte al giudice Bianca Maria Bianchi, il mandato e la postilla a cui si era appena riferito l’investigatore. Con la firma di El Joulani a fianco. Il passaggio di denaro in contanti, però, non è stato dimostrato materialmente. E l’episodio non è tra quelli contestati a processo a El Joulani. Che è appunto accusato di truffa.
A margine dell’udienza, la parte civile ha sottolineato un passaggio a suo parere significativo nella ricostruzione
del finanziere: e cioè il fatto che sui conti della Cib non ci fossero movimenti prima dei versamenti dell’Unione delle Comunità Islamiche Italiane, che aveva ricevuto e poi trasferito il denaro ricevuto dalla Qatar Charity Foundation.
La difesa, con gli avvocati Perla Sciretti, del Foro di Milano, ed Enrico Mastropietro, di Bergamo, ha invece giocato d’attacco. Non sono mancate le domande, al maresciallo Lillo, su eventuali approfon-
dimenti rispetto al denaro gestito dall’Ucoii, ricevuto in gran parte dalla fondazione del Qatar. Approfondimenti che sarebbero mancati. «Nello stesso periodo in cui erano arrivati i fondi alla Cib, l’Ucoii aveva ricevuto finanziamenti per circa 25 milioni di euro — commenta Mastropietro —. E sembra che nessuno abbia nulla da chiarire». Oggi, tra i testimoni, ci sarà il segretario dell’Ucoii Sami Trabelsi. La difesa ha chiesto di sentire anche il colonnello della Guardia di finanza Davide Picciafuochi, comandante del nucleo di polizia tributaria. L’accusa si è opposta. Il giudice ha accolto la richiesta degli avvocati.
La difesa L’avvocato: 25 milioni dal Qatar all’Unione islamica e nessuno ha nulla da chiarire