Sotto il Monte e il santo Storia di un’evoluzione
Una spinta spontanea, partita dal basso, all’origine di questo «santuario a cielo aperto». Un libro ne analizza l’evoluzione
di Marco Roncalli e Claudio Dolcini
Inun nuovo libro, pubblicato in concomitanza alla peregrinatio del Santo Giovanni XXIII, lo scrittore Marco Roncalli e il parroco di Sotto il Monte Claudio Dolcini analizzano l’evoluzione del paese: è diventato un santuario a cielo aperto, grazie a una spinta di fede partita dal basso, spontanea. Un paese che è allo stesso tempo simbolo di un uomo che ha segnato la storia.
In concomitanza della peregrinatio, il ritorno da Santo di Papa Giovanni nella sua terra natale, è uscito «Sotto il Monte Giovanni XXIII. Un paese, un santo», volumetto edito da Morcelliana (104 pagine, 10 euro). É scritto dal parroco di Sotto il Monte, monsignor Claudio Dolcini, insieme a Marco Roncalli, autore di diverse opere sul «papa di famiglia» e di storia della Chiesa, e racconta per la prima volta l’evoluzione di questo paese sconosciuto fino al 28 ottobre 1958, quando Angelo Giuseppe Roncalli divenne papa. Ecco, di seguito, qualche stralcio.
Sotto il Monte è al tempo stesso un paese, una parrocchia, un santuario, come pure il simbolo di un uomo e un’epoca. Un «luogo di santa memoria», di una memoria incarnata in una terra, piuttosto che «luogo santo» come scenario di eventi prodigiosi. Sì, è il luogo legato alla figura di Angelo Giuseppe Roncalli,alle tracce della sua nascita, delle sue radici, della sua formazione, dei suoi passaggi: meta che è specchio di una vita. «Non potrà mai capire Papa Giovanni chi lo stacca dal contesto umano e storico che lo produsse: uomo nato per stare insieme, per fare sinodo e concilio con tutta l’umanità: chiamato a costruire ponti, importa poco se come manovale o architetto; uomo incline all’incontro e al colloquio; uomo fattosi capace di calarsi nella realtà ortodossa, musulmana, laica dei Paesi attraversati a servizio della Santa Sede», sosteneva con sicurezza il cardinale Loris Francesco Capovilla. E aggiungeva: «Il visitatore e pellegrino non viene qui a rievocare eventi conchiusi, le cui cronache sarebbero state collocate ormai nei polverosi scaffali degli archivi; viene a captare il messaggio affidato da Papa Giovanni ai suoi conterranei: credere nell’amore e rifuggire dalle avventure.».[...].
Eretto come santuario solo nel 2014, l’anno della canonizzazione, ne possedeva da lungo tempo i requisiti avendo per decenni attirato folle di pellegrini ed anche corrisposto con varie modalità alle loro attese. Il dato più interessante emerge dal tratto di marcata spontaneità che connota sia la genesi del santuario, sia le dinamiche dei flussi dei visitatori. Si tratta inoltre di una meta dove i pellegrini vivono consuete o meno sperimentate forme di devozione, nella consapevolezza di quello che definiscono un incontro privilegiato: così come accade per i luoghi natali di altri santi o per luoghi che ne custodiscono le spoglie: spazi dove sostare nella preghiera e nel raccoglimento, ma anche dove camminare alla ricerca di ciò che resta dell’ambiente che ha fatto da scenario al dipanarsi di una esistenza. Disteso in fondo a colline coperte di boschi e vigneti, Sotto il Monte si formò a partire dal IX secolo come insieme di nuclei familiari aggregatisi via via al Priorato di Sant’Egidio in Fontanella (il toponimo originario doveva essere «sotto il monte dei frati»), e sino alla prima metà del ’900 restò sostanzialmente un borgo contadino quasi immutato. [...] Un borgo agricolo sconosciuto, dunque, come tanti: tutto questo fino ad una data precisa. Alla sera del 28 ottobre 1958, quando l’annuncio dell’elezione al soglio pontificio del concittadino cardinale Roncalli, sconvolse all’improvviso la quiete del paese e dei suoi abitanti, segnando l’ inizio di quell’ ininterrotto flusso di pellegrini, favorito dall’ attenzione dei media e dall’estendersi del consenso popolare attorno al neopontefice. Un consenso aumentato notevolmente durante i giorni dell’agonia e dopo la sua morte il 3 giugno 1963 e mai arrestatosi sino ad oggi, come dimostrano non solo i pellegrinaggi al paese natale, ma anche quelli prima sulla tomba di Papa Giovanni nelle Grotte vaticane, ed ora, innanzi alla teca che continuerà a custodirle nella Basilica di San Pietro, dopo il provvisorio «ritorno» nella terra natale. Il dato rilevante è che Sotto il Monte, questo santuario «policentrico», con vari punti di gravitazione del pellegrino e di attrazione dei suoi interessi, non solo nasce e cresce durante il pontificato giovanneo, e diventa sempre più tale dopo la morte di Giovanni XXIII, ma, soprattutto, è sorto spontaneamente, senza regie palesi o celate[...].
All’origine del santuario vi è dunque solo una spinta genuina e spontanea, partita dal basso, dal popolo cristiano, dal concorso delle folle, che non hanno atteso il verdetto della Chiesa — prima sulla beatificazione, poi sulla canonizzazione — per accorrere qui a riconoscere la santità di un uomo, delle sue radici, ad esaltare quella semplicità che l’ ha reso familiare a credenti e non credenti e che pare materializzarsi nelle stesse caratteristiche di alcuni ambienti del luogo .[...]. Una devozione marcatamente spontanea quella relativa a Sotto il Monte, che si accentua e sopravvive alla secolarizzazione, alla contestazione del ’68, che all’inizio della sua affermazione doveva necessariamente essere monitorata, seguita nei suoi assestamenti, armonizzata nelle relazioni tra ospiti e residenti, studiata nei suoi bisogni concreti, e che tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta sembra aver goduto di una situazione ottimale: a tal punto che dopo la sua Visita Pastorale il 7 maggio 1970, il vescovo Gaddi scriveva «non ci sono disposizioni da dare ma rallegramenti da esprimere». Una situazione che, vent’anni dopo, veniva fotografata, in un’altra Visita pastorale, con l’immagine giovannea della «fontana del villaggio»: «A Sotto il Monte c’è acqua per tutti. La provvidenza ha voluto che Sotto il Monte divenisse centro di pellegrinaggio: bisogna richiamare al senso dell’accoglienza, accettando inevitabili piccoli disagi [...]», così una nota del parroco di allora datata 4 marzo 1989. Una situazione che oggi, con risposte ancor più adeguate si avvia a procurare soddisfazioni: in piena sintonia con lo spirito del luogo sul piano religioso in termini di conversione e riconciliazione con Dio e gli uomini, aprendo prospettive pastorali ancora sottostimate anche in una lettura che vede la «pietà popolare» come «vero tesoro del popolo di Dio».