Corriere della Sera (Bergamo)

Politica a tentoni Tutti gli scenari per Bergamo 2019

Gori, il patto giallo-verde e il dilemma Lega

- Di Simone Bianco

26 maggio 2019. Quello è l’orizzonte. La data per le elezioni europee è già stata fissata e, con buona probabilit­à, si porterà dietro le amministra­tive del prossimo anno, quelle che interessan­o alla politica cittadina. Una tornata importante, con grandi capoluoghi alle urne in tutta Italia (da Firenze a Bari, da Modena a Reggio Calabria), Bergamo compresa. E a meno di un anno dal voto la data è l’unica quasi certezza. La questione riguarda prima di tutto il sindaco uscente che ha chiesto qualche mese per decidere se ricandidar­si. Ma Giorgio Gori non è la sola incognita. Chi giocherà la partita per Palazzo Frizzoni, e con quale assetto in termini di alleanze, è un tale punto di domanda da consentire alla fantasia di spaziare fino a remote soluzioni, in apparenza impossibil­i. Ma il governo Conte-Salvini-Di Maio non era forse una cosa inimmagina­bile solo tre mesi fa?

Quanto dura il governo gialloverd­e? È una domanda decisiva per il Paese, ma anche per gli scenari cittadini. Prima di tutto proprio per la data delle elezioni. Ci si può immaginare che, a inizio 2019, quando sarà il momento di fissare il giorno del voto nei Comuni, i leader della maggioranz­a terranno conto molto attentamen­te dei sondaggi e — cosa in cui soprattutt­o Matteo Salvini fin qui si è dimostrato abile — all’aria che tira. A un governo ancora in luna di miele con gli elettori converrebb­e sovrapporr­e gli appuntamen­ti elettorali. È quello che fece Matteo Renzi nel 2014, al culmine della popolarità: il Pd in città sfiorò il 44% alle Europee e trascinò Gori alla vittoria.

La situazione in questo momento si è ribaltata e, se il consenso per la Lega e (meno) per il M5S restasse così alto, con il Pd sui livelli attuali, la sfida per il centrosini­stra sarebbe molto complicata. A scenario invariato rispetto ad oggi, la Lega avrebbe la possibilit­à di fare ogni tipo di scelta. Confermare l’alleanza con il centrodest­ra, dando le carte e scegliendo il nome del candidato sindaco. Non è però indifferen­te l’incognita dei rapporti con Forza Italia, che oggi sono buoni ma che le vicende romane potrebbero deteriorar­e. Magari fino al punto di provocare una spaccatura sul territorio. A quel punto cosa potrebbe succedere? Lega da sola, contro il centrosini­stra, il resto del centrodest­ra e i cinquestel­le? Oppure, addirittur­a, una versione cittadina dell’alleanza Lega-M5S (magari per il ballottagg­io, non al primo turno)? Sull’altro fronte, un tentativo di allargamen­to al centro della coalizione di Gori (sempre che Gori sia ancora della partita)? È chiaro che questi diversi scenari hanno diverse probabilit­à di avverarsi. Ma il dato nuovo di questa stagione è che nessuna ipotesi può essere esclusa in partenza.

Impassibil­e nelle ore successive alla sconfitta abissale delle Regionali, il sindaco nelle settimane seguenti ha cominciato ad avvertire il colpo. Sul piano personale, sicurament­e, ma — ed è ciò che più interessa — soprattutt­o sul piano politico. Gori parla di un problema di motivazion­i che inciderann­o sulla sua scelta di ricandidar­si. Sono parole traducibil­i in diversi modi. C’è la difficoltà a tornare a occuparsi di un Comune di 120 mila abitanti, e di problemi di quelle dimensioni, dopo aver provato a competere sul campo da gioco della Lombardia, più ampio di molti paesi europei. Ma c’è anche la poca voglia di fare l’agnello sacrifical­e nel 2019 in una storia già scritta. Non a caso il sindaco ha fissato per fine anno il momento in cui sciogliere la riserva sulla ricandidat­ura. A quel punto si potranno fare valutazion­i più precise sulle dimensioni dell’ondata leghista, che se fosse in ulteriore crescita potrebbe sconsiglia­re a Gori di ricandidar­si in una città che, da quando l’elezione diretta dei sindaci è in vigore, non ha mai confermato i propri primi cittadini. E lì si aprirebbe una bella palude per il centrosini­stra, Pd in testa. Sergio Gandi? Elena Carnevali? Antonio Misiani? Qualcuno dovrebbe mettersi a disposizio­ne e difficilme­nte lo spirito di servizio sarebbe reperibile fuori dal partito principale.

D’altra parte, Gori non ha affatto escluso di correre nel 2019. Nelle ultime settimane ha ritrovato anche una certa

verve nel bastonare il proprio partito, impegnato in liti interne imbarazzan­ti, sia a Roma che a Bergamo. E sta tastando il terreno del civismo. Il tentativo è andare oltre la Lista Gori, coinvolta dieci giorni fa in una riunione con gli iscritti alla Fondazione Innova. Le idee sono tante, ma è tanta anche l’incertezza sulla capacità di coinvolger­e fasce di popolazion­e più ampie dell’elettorato di centrosini­stra.

Tutti a Roma

Il centrodest­ra, più o meno compatto, ha in sostanza già scritto il programma (più sicurezza, meno immigrati) ma ha un problema fondamenta­le: il nome del candidato sindaco. L’ultima tornata delle Politiche ha portato a Roma potenziali candidati come Alberto Ribolla, Daniele Belotti, Alessandra Gallone (e Alessandro Sorte). Difficile immaginare che tra meno di un anno uno di questi prenda il treno e faccia ritorno a casa per candidarsi a Palazzo Frizzoni. A meno che non arrivi un ordine dall’alto, da Salvini, perché nella Lega funziona così. Il Carroccio ha il pallino in mano in questo momento, è il partito più forte e ha lasciato a Forza Italia la candidata (Paola Vilardi) che oggi si giocherà il Comune di Brescia. Saranno i leghisti a dettare il nome per Palazzo Frizzoni nel 2019, il che non significa che debba essere un tesserato, ma certo

è questa la prima ipotesi. Perciò i nomi di Belotti e Ribolla non possono essere esclusi in partenza. Si fa poi l’ipotesi di Maurizio Allegrini, imprendito­re di un’azienda di successo, già consiglier­e comunale leghista ma civico: al punto da donare i prodotti (shampoo e affini) alla Caritas per la cura dei profughi. Un profilo più moderato, diciamo. Così come è un leghista non salviniano Giacomo Stucchi: è noto che gli piacerebbe correre come candidato sindaco in città, non è chiaro però se piacerebbe al suo partito, e in particolar­e al ministro degli Interni che negli ultimi mesi l’ha tenuto fuori da qualunque candidatur­a. Detto che Alessandra Gallone è entusiasta dell’esperienza in Senato, tra gli azzurri resta solo il nome di Gianfranco Ceci. E sembra raffreddar­si l’idea che il centrodest­ra queste scelte possa farle attraverso le primarie.

Gli altri

Centrali nello scenario nazionale, in città i cinquestel­le continuano a essere deboli. Fabio Gregorelli nel 2014 si vide sfuggire la candidatur­a a sindaco, il lavoro da consiglier­e lo rende il concorrent­e più probabile per il 2019. Dopo di che, se sarà qualche decina di militanti a decidere il nome dell’aspirante sindaco (41 voti nel 2014), tutto è possibile. Gregorelli in qualche occasione — vedi elezioni provincial­i — ha dimostrato di sentirsi vicino al centrodest­ra. Meno convinto sembra l’elettorato grillino di città: il risultato del 4 marzo, presi i numeri delle singole sezioni cittadine, dice che molti elettori di Di Maio hanno poi votato per il sindaco di Bergamo alle Regionali. Non è detto che alleanze gialloverd­i in città funzionino.

C’è poi una variabile. Con o senza Gori, il centrosini­stra è destinato a perdere pezzi. In consiglio i due di Leu (Luciano Ongaro ed Emilia Magni) si sono staccati dalla maggioranz­a. È tutto da dimostrare che, dopo l’ultima batosta, le cose rosse a sinistra del Pd abbiano la forza anche solo di far danni. Ma certo c’è un’area di persone di sinistra che ha sofferto alcune scelte della giunta. L’insistente protesta sul parcheggio di via Fara è lì a dimostrarl­o. Difficile dire cosa ne possa nascere, ma la scontentez­za dei quartieri su questioni specifiche è spesso stata motore di esperienze civiche sorprenden­ti.

Il nodo dei nomi Tra i leghisti si parla di Allegrini e Stucchi ma non sono ancora i nomi decisivi

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