Gifuni dà voce alla poesia di Caproni
Ascoltare poesia può essere liberatorio, soprattutto se a leggerla è un attore che negli ultimi anni ha toccato alcuni maestri del Novecento, restituendoli con entusiasmo al pubblico. Quelli di Fabrizio Gifuni, infatti, non sono semplici reading, ma «officine di lavoro sempre aperte» su pagine di autori molto amati, da Gadda a Pasolini, da Pavese a Testori, cui spesso ritorna e a cui da oggi si aggiunge un nome, quello del poeta Giorgio Caproni. I suoi versi sono al centro de «La fatalità della rima», stasera alle ore 21 al Teatro Franco Parenti (via Pier Lombardo 14, e 25/18). «Ho seguito un entusiasmo e un principio di piacere che in questo caso», spiega Gifuni, «è nato da quello che mi trasmise il regista Giuseppe Bertolucci, che lo amava e conosceva personalmente, e che usò i suoi versi per punteggiare l’ultimo film, nel 2001, “L’amore probabilmente”, cui partecipai. Da allora è nata la mia passione da lettore che, fino a stasera, è rimasta privata». Per condividerla, Gifuni utilizza come sempre anche la drammaturgia: «È un esperimento: la cornice teatrale è scandita da alcune interviste che tenne sulla poesia, di mezzo leggo i testi, dal primo grande componimento “Il passaggio di Enea” a “Il seme del piangere”, fino all’ultimo “Res amissa”». Gifuni, 51 anni, ha recentemente ricevuto a Roma una laurea honoris causa in Letteratura italiana, filologia moderna e linguistica e ha titolato la lectio magistralis con una frase di Thomas Pynchon — «La voce umana è un miracolo» — spiegando la ricerca della traccia sonora che abita nei libri, grazie a cui risvegliare la voce e il corpo che li abitano. Il risultato non è una lezione accademica, né una lettura stantia, perché parte da un altro desiderio: «Trasmettere il piacere a un pubblico quanto più diverso possibile. Restituire voce a una lingua è un valore aggiunto, apre a significati inattesi, e Giorgio Caproni per primo amava la lettura ad alta voce».