Uno stadio futuristico tra i venti di guerra
Templi, monumenti e architettura da terzo millennio vicino al muro che divide dalla Palestina
Dai Balcani al Medio Oriente. Il Dio del calcio ha scelto di spedire l’Atalanta in un tour dal pregnante significato geopolitico, facendole toccare due zone che hanno segnato, cicatrizzandolo, il ventesimo secolo. I nerazzurri sono passati dai palazzi sventrati di Sarajevo, dai proiettili ancora conficcati nel cemento armato dei suoi balconi e palazzi, ad Haifa, la città «lavoratrice» d’Israele, a centotrenta chilometri dal Libano, da dove, nel 2006, piovevano i razzi katiuscia.
Se in Bosnia il recente passato di guerre e distruzione è sparato negli occhi, attraverso i segni tangibili di una guerra che si è conclusa più di vent’anni fa, ma che sembra terminata l’altro ieri, in Israele la tensione di uno Stato quasi perennemente in guerra è in sottofondo, ma la si percepisce costantemente. Fin dal cielo in aereo, quando il comandante, a 40 minuti dall’atterraggio, invita i passeggeri «a rimanere con le cinture allacciate su disposizione dell’autorità israeliana»; proseguendo in aeroporto, dove il rischio di controlli infiniti è dietro l’angolo e terminando per la strada che collega lo scalo di Tel Aviv ad Haifa, con il muro che costeggia l’autostrada e divide Israele dalla Palestina.
Attorno svettano minareti. Come in Bosnia. E, curiosità, come in Bosnia i semafori funzionano alla stessa maniera, con il «giallo» che avvisa dell’arrivo sia del «rosso» che del «verde». Viabilità a parte, la differenza tra le due trasferte lontane sette giorni è il posto della storia. Che rimane a sé stante a Sarajevo, mentre ad Haifa convive tranquillamente con una modernità quasi futuristica. Serenamente. Templi, giardini e monumenti e subito dopo grattacieli e architetture da terzo millennio.
Il Sammy Ofer, inaugurato nel 2014, dove giocherà l’Atalanta stasera (e dove giocò l’Italia nelle sue tragiche qualificazioni mondiali, già nel 2016), è un impianto che in Italia sarebbe secondo solamente allo Stadium di Torino. Visibilità perfetta e tecnologia all’ultimo grido. Non troppo alto, altrimenti si rischia di disturbare il riposo del profeta Elia che, secondo la leggenda, visse dietro lo stadio, in una grotta nel monte Carmelo. Tremila anni fa.