L’EREDITÀ DELL’EPOCA
Avete presente il cantiere a metà di via Porta Dipinta, da anni così immobile che sembrava ormai parte del paesaggio? La buona notizia è che finalmente privati, Comune, Soprintendenza si sono messi d’accordo e a breve cominceranno i lavori di un parcheggio intorno al quale verrà valorizzata anche un’area archeologica. Sì, perché il problema era quello. Lì sotto è saltato fuori di tutto: cisterne e manufatti romani, tombe longobarde, mura medievali, cantine costruite su murature preesistenti di epoca imprecisata… Tutta roba su cui è andato a innestarsi il palazzo nobiliare lì accanto, che ha cominciato a ergersi nel Cinquecento modificandosi fino a oggi. Mi vengono due pensieri. Uno: di cosa parliamo quando parliamo di identità? La storia di quel pezzo di Bergamo Alta ci dice chiaramente che quello che siamo noi adesso non è la prosecuzione rettilinea di una cosa che è sempre stata così, ma l’accumulo, strato su strato, e con ibridazioni continue, di molti popoli e molte culture. A seconda di dove cominci a guardare puoi sentirti figlio di chi vuoi: è legittimo, ma profondamente sbagliato dal punto di vista storico. Prima gli italiani: va bene, perché no? Ma gli italiani, prima, cos’erano? Secondo pensiero: davanti a tanta Storia, cosa lasceranno i bergamaschi di oggi agli archeologi di domani? Un parcheggio. Quintessenza di uno spirito dei tempi che guarda all’utile più che al bello, all’immediato più che all’eterno. Naturalmente, sempre che non insorga un comitato no-parking.