Banda dei ricatti, spunta un bancario
È il proprietario del capannone della carrozzeria di Osio Sotto finita sul lastrico
Tra i casi più inquietanti contestati alla banda delle estorsioni finita in carcere martedì, c’è quello della carrozzeria di Osio Sopra. Ieri l’udienza per il suo fallimento è stata rinviata perché nessuno dei titolari si è presentato. Nelle indagini è stata approfondita anche la figura dell’ex direttore della filiale Ubi di Osio Sopra (non indagato). È risultato il proprietario del capannone dove aveva sede l’autofficina.
Ieri mattina all’udienza per il fallimento della Cardme Srl non si è presentato nessuno, eccetto il pm Emanuele Marchisio. Il giudice è in riserva, ma le possibilità che la società di Osio Sopra la scampi, con il suo mezzo milione di debito e il pesante retroscena che ora emerge dall’inchiesta del Nucleo di polizia economico finanziaria della Gdf, sono praticamente zero.
È la carrozzeria finita nell’obiettivo della presunta banda specializzata in estorsioni, che tra agosto 2016 e marzo 2017 avrebbe «martellato» almeno cinque imprenditori, tutti personaggi dai trascorsi non certo limpidi, poco avvezzi alla denuncia, ma che alla fine, per la disperazione, hanno parlato. Rocco Di Lorenzo, 61 anni, di Albano Sant’Alessandro, avrebbe gestito le spedizioni. In sei lo avrebbero spalleggiato. Tutti, a parte uno irreperibile, sono in carcere e oggi affronteranno gli interrogatori di garanzia tra Bergamo, Brescia e Monza. La scena di loro che sfilano fuori dalla Finanza, con le facce nascoste dietro alle ordinanze e le manette ai polsi, per un attimo, martedì, ha fatto pensare ad altre latitudini. Le carte del gip, pure.
L’autofficina di Osio Sopra, per la quale è stata la stessa Procura a chiedere il fallimento (con il pm Fabio Pelosi, in origine titolare del fascicolo), ne è un esempio. Il
se ne sarebbe letteralmente impossessato. A gestirla erano Marco Bonfanti, 44 anni, di Villa d’Almè, e il padre Ezio, 71, di Palazzago, ma sulla carta faceva capo alla Cardme Srl di David Cortinovis, 24 anni, di Spirano. È con quest’ultimo che Di Lorenzo sostiene di avere un credito di 300 mila euro. Lo pretende, stando alle contestazioni, a metà novembre 2016, quando, spalleggiato da Marcello Sipione, 46 anni, di Stezzano,
Gentian Ndou, detto «Andrea», albanese di 32 anni con casa a Bergamo (l’indagato che non si trova), Gazmend Penga, detto «Gaz», anche lui albanese, 38enne di Pioltello,
I conti prosciugati Gli indagati avevano libero accesso ai soldi della società, usavano anche l’home banking
sequestra tutti in carrozzeria. C’è anche il fratello sordomuto di Sipione, Rosario, 57 anni, a cui la società viene intestata il febbraio successivo (è indagato a piede libero).
Cominciano con 15 mila euro, che Cortinovis e Bonfanti corrono a prelevare alla filiale Ubi del paese, dove Marcello Sipione si fa poi firmare una delega per avere libero accesso ai conti, servizio home banking compreso. Anche il «capo» e gli albanesi bazzicagruppo no regolarmente in banca, tanto da spingere gli investigatori a ulteriori accertamenti in quella direzione. Un dettaglio colpisce. Il fatto che il direttore di allora, Marco Persico, 40 anni, di Costa Serina, risulti il proprietario del capannone della Cardme. Lo ha ritirato il 29 novembre 2016 all’asta fallimentare della società dei Bonfanti. Una figura da approfondire, secondo gli investigatori, anche per l’accusa di concorso in bancarotta nell’inchiesta lecchese sulle coop fatte fallire per milioni di euro. Il pm Nicola Preteroti, adesso a Bergamo, ne ha chiesto il rinvio a giudizio. La sua difesa (avvocato Marcello Perillo, ieri irreperibile) ha ottenuto un’integrazione delle indagini, ora in fase di valutazione. Il bancario non avrebbe segnalato agli uffici interni per l’anti riciclaggio alcune operazioni sospette del consulente finanziario Marco Sarti, l’indagato numero uno. Spostamenti di denaro in Svizzera che avrebbero contribuito a svuotare le coop (in due hanno già patteggiato). Sull’officina di Osio Persico, che non è tra gli indagati, al telefono non parla: «Non ho nulla da dire», risponde.
La cosa certa è che sui conti della Cardme, in poco tempo, non è rimasto un euro. Con Sipione fisso in officina e gli albanesi che vanno e vengono per controllare, i Bonfanti, sempre secondo le indagini, sono sottomessi. La banda usa le auto di cortesia per smerciare droga e i meccanici per le riparazioni gratis. Una volta sono le Bmw degli albanesi, un’altra l’Audi A8 della figlia di Di Lorenzo. I 90 mila euro di cambiali che Bonfanti dice di essere stato costretto a sottoscrivere sono il colpo di grazia. E la carrozzeria finisce sul lastrico.