Corriere della Sera (Bergamo)

Copia e incolla d’autore

Leonor Antunes omaggia la designer Franca Helg in una raffinata mostra-citazione all’Hangar Bicocca

- Francesca Bonazzoli

Signori, si cambia. L’Hangar Bicocca riapre oggi la stagione espositiva con una mostra radicalmen­te diversa dal caos cosmico e psicotico proposto durante il periodo estivo da Matt Mullican, la cui personale è ancora visibile fino a domenica nelle Navate. Questa sera alle 19 verrà invece inaugurata la prima grande personale in Italia di Leonor Antunes e i 1.400 metri quadrati dello spazio chiamato Shed restituira­nno l’atmosfera elegante e rarefatta di certe dimore della borghesia milanese più aggiornata del dopoguerra. Una sensazione indotta nel visitatore già dal titolo della rassegna: «The last days in Galliate», che fa riferiment­o a Franca Helg, designer e architetto nata a Milano nel 1920 dove ha lavorato col collega Franco Albini. A Galliate la Helg progettò la casa di famiglia per i genitori in cui ella stessa abitò poi negli ultimi anni di vita.

Ancora una volta, dunque, il lavoro di Leonor Antunes — che è nata a Lisbona nel 1972, ma vive a Berlino — rende omaggio a grandi personalit­à femminili come già avvenuto con Anni Albers, Lina Bo Bardi o Clara Porset. «Non è una questione di genere. Il mio interesse si rivolge alle donne perché il loro lavoro non è stato abbastanza valorizzat­o», spiega la Antunes presentand­osi all’Hangar con un abbigliame­nto ampio e total black, stile Zaha Hadid. «Quello che faccio è sempre legato alle persone».

E infatti si tratta di citazioni di oggetti (sedie, mobili, lampade) già realizzati da altri arfemminil­i chitetti o designer, nella più tipica pratica della «postproduz­ione», ovvero l’appropriaz­ione, attraverso nuovi usi, di opere del passato mediante il loro editing storico, formale e ideologico. L’opera d’arte intesa dunque come archivio di informazio­ni raccolte facendo ricerche, consultand­o documenti e foto.

«Il mio lavoro non è originale nel senso che non invento, ma interpreto quello che è stato fatto», spiega. «È il mio nuovo modo di esprimere il tempo di oggi».

Il metodo è sempre lo stesso: partire dall’osservazio­ne di dettaglio, come lo schienale di una sedia, la curva della gamba di un tavolo, l’uso di certi materiali. Da qui nascono sculture sospese al soffitto, posate a terra, e anche luminose, realizzate con materiali da arredo come midollino, legno, cuoio, ottone, e spesso battezzate con nomi come Clara o Franca. Nell’ampio rettangolo dello Shed ne sono esposte 26, distribuit­e con eleganza sul pavimento ricoperto da un linoleum che riproduce gli intarsi di un disegno di Annie Albers, ma colorato con le cromie del pavimento del 1960 di Gio Ponti per il gratta- cielo Pirelli.

Un’arte dunque dello smontaggio, dello scontorno, del copia, mixa e combina, incurante del diritto di copyright, come dichiarato da Sylvie Fleury, un’altra artista che procede in modo analogo, ma con una declinazio­ne pop: «Quando non ho un’idea precisa di quale colore usare per le mie opere, uso dei nuovi colori Chanel». La Antunes, invece, ha scelto la gamma chiara di non-colori che omaggiano lo chic della Milano modernista.

Remix L’osservazio­ne di un dettaglio ispira le eleganti sculture in materiali da arredo

L’artista «Il mio interesse è per le donne: il loro lavoro non è stato abbastanza valorizzat­o»

 ??  ?? Tinte sobrie Uno scorcio della mostra di Leonor Antunes all’Hangar Bicocca. Sullo Shed sono disposte 26 sculture (foto Stefano Porta / LaPresse)
Tinte sobrie Uno scorcio della mostra di Leonor Antunes all’Hangar Bicocca. Sullo Shed sono disposte 26 sculture (foto Stefano Porta / LaPresse)

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